di Marco Puttini

Quell’indegna parodia del Cristianesimo a cui abbiamo dovuto assistere durante la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Francia é stato qualcosa di grottesco e offensivo. Di articoli ne abbiamo letti, giustamente, a bizzeffe, ma il punto che volevo esporre su questo episodio é piuttosto un altro.

Ora: che il Cristianesimo venga attaccato non é una novitá, né qualcosa di inaspettato. La nostra religione si é fatta strada tra il sangue dei martiri, tra le battaglie dei crociati, attraverso le dispute teologiche con gli eretici e oltre le repressioni dei regimi comunisti. Ne siamo sempre usciti o vittoriosi, o almeno vivi e piú forti di prima.
Leone XIII nella sua enciclica “Sapientiae Christianae” rimarcava quanto fosse nostro dovere combattere, combattere come conseguenza del fatto che questo non é un mondo facile e noi non dobbiamo essere gente debole: anche oggi che ci troviamo nel mezzo della burrasca globalista e ateista sará cosí.

Il problema quindi non é tanto l’attacco, per quanto deplorevole e da condannare. É piuttosto la mancanza di una reazione da parte di quegli atleti cristiani che, pur partecipando ai giochi olimpici, hanno proseguito come se nulla fosse nelle loro competizioni e premiazioni, forse pensando cosí di evitarsi problemi con un qualsiasi gesto di dissenso.
Voglio dire, fintanto che sono la Conferenza Episcopale Francese, o qualche giornalista conservatore o addirittura il Santo Padre a condannare l’episodio, non é niente di eclatante…come direbbero alcuni, “ci sta” (anche se per i miei gusti le risposte a questo genere di episodi sono ancora troppo morbide).

Ma immaginatevi se invece a fare una protesta per la mancanza di rispetto verso la religione piú seguita al mondo fosse stato un atleta; uno dei tanti italiani, francesi, statunitensi, ma anche australiani, brasiliani, georgiani, che hanno conquistato una vittoria nelle recenti competizioni. Immaginatevi se, al salire sul podio per ricevere la medaglia, questo atleta avesse slacciato la maglia della tuta e scoperto una maglietta con scritto “Respect my religion. Respect for the Christians”. Ecco, per quanti articoli scriviamo e per quante dichiarazioni facciamo nella parte di spettatori dei Giochi, niente avrebbe pesato come la presa di posizione di un atleta che stava “dentro” ai Giochi e che in mondovisione, all’apice della celebrazione di uno degli sport, avesse deciso di lanciare un messaggio forte: “Tu, comitato olimpico dovevi accoglierci, e invece ci hai offesi e messi a disagio”.

É nostro dovere combattere e queste sono le “bombe” che dovremmo lanciare. Cosa ci é successo? Dove sono finite le reazioni dei tanti cristiani che hanno partecipato alle Olimpiadi? Non lo so, probabilmente alcuni non avevano realmente sentimento religioso, altri avranno preferito evitare problemi e ad altri, forse, non sará neanche venuto in mente di fare qualcosa. L’azione viene anche dalla cooperazione e dalla motivazione della comunitá di cui facciamo parte, e questo é qualcosa che dobbiamo tenere ben presente. É nostro dovere combattere, sí, ma fintantoche lasceremo correre su cose come questa, la nostra vittoria sará sempre un giorno piú in lá.

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