di Daniele Trabucco
I “valori” della Costituzione sono quelli della Resistenza, i “valori” della Costituzione sono la bussola che orienta i pubblici poteri etc. Quante volte abbiamo sentito affermare, con enfasi ed in occasione delle ricorrenze civili della Repubblica da tutte le forze dell’arco “costituzionale”, queste espressioni, vere e proprie “preghiere civili” della liturgia statolatrica.
In realtá, siamo in presenza di “flatus vocis” da recitare periodicamente al fine di mantenere in piedi il culto della Costituzione, dello Stato moderno e dei relativi dogmi. Tuttavia, i Testi costituzionali moderni, pur nella loro evoluzione, in quanto prodotti del razionalismo politico, pretendono di assorbire la vita sociale, sussumendola nel modello da esse rappresentato e da esse facendola dipendere. In ragione di questo, le Costituzioni prescindono, lo osserva molto bene il prof. Giovanni Turco, “dalla concretezza della sedimentazione naturale e storica della comunità ”, con l’ovvia conseguenza che l’organizzazione della societá si esprime unicamente attraverso quella dello Stato e dell’ideologia da esso assunta di volta in volta, anzi attraverso lo Stato e nello Stato, non piú custode, ma creatore del diritto.
Contestualmente, da tale constatazione si profila una duplice autonomizzazione assiologica: quella della persona ridotta ad individuo rispetto ad ogni vincolo anteriore e superiore alla Costituzione, i cui disposti modulari ed elastici favoriscono proprio l’esercizio della sua libertá negativa sia pure nell’ambito dei limiti (sempre mobili e soggetti ad essere spostati in avanti) posti dall’ordinamento, sia dello Stato rispetto a principi trascendenti che non puó riconoscere come superiori, dal momento che risulterebbero sottratti alla sua sovranità , alla sua “plenitudo potestatis”. In questo modo, lo Stato fonda, diversamente dal teorema di Böckenförde (1930-2019), il suo unico meta valore assoluto: il continuo bilanciamento di principi ed interessi, costituzionalmente positivizzati, funzionali a realizzare evolutivamente la societá.
Entrambi, peró, ossia l’individuo e lo Stato, risultano ovviamente svincolati dall’orizzonte delle loro finalità essenziali e della loro natura filosoficamente intesa secondo il pensiero classico, ponendosi al di là di qualunque normatività intrinseca alla natura delle cose (come insegnano il Pizzorni e Berti il passaggio dall’essere al dover essere non avviene secondo l’esistenza, ma sulla base dell’essenza che le teorie positivistiche, legate ad una prospettiva illuministica e meccanicistica, non predono minimamente in esame) per cui si fanno interpreti del trionfo del nichilismo dove, poiché nulla rimane nelle mani dell’uomo che ha esaurito le folli possibilitá della sua autodeterminazione, si apre lo spazio oscuro del non-umano.
Se la persona recide il suo rapporto con Dio, se non rimane ancorata al principio di verità ed eleva la sua volontà a valore assoluto, diventa solo un individuo, un essere chiuso in se stesso, atomo tra gli atomi, e ciò che rimane della società umana è solo un ribollire caotico di bisogni, pulsioni, desideri e volontà confliggenti. Se lo Stato non riconosce l’esistenza di una legge morale su cui il diritto positivo deve basarsi, il potere politico diventa soltanto espressione della prepotenza di un tiranno, o dell’altrettanto arbitraria volontà della maggioranza, che può imporre qualunque cosa, anche la più infame (lo abbiamo visto di recente: lockdown, mascherine, green pass, o ti “vaccini” o resti a casa senza stipendio; lo stiamo vedendo tutt’ora: limitazioni alla libertà di parola che sembravano impossibili in una società liberaldemocratica, con tanto di arresti in Inghilterra, Germania, Francia; e, se non invertiremo la rotta, lo vedremo nel prossimo futuro: identità digitale, scomparsa del denaro contante, della privacy e della proprietà privata).