Nella notte, Israele ha lanciato un’invasione di terra nel sud del Libano, giustificandola come un’operazione “mirata e limitata” contro le forze di Hezbollah. I raid, supportati dall’aeronautica e dall’artiglieria, hanno colpito villaggi vicini al confine, con l’obiettivo dichiarato di neutralizzare minacce per le comunità israeliane del nord. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni ufficiali, questa operazione rappresenta un atto di ostilità che solleva gravi interrogativi, non solo riguardo la legittimità dell’intervento militare, ma anche sul ruolo complice e passivo della comunità internazionale.
La comunità internazionale, che dovrebbe garantire la stabilità e la pace nella regione, sta assistendo con un silenzio preoccupante a un’invasione che manca di motivazioni sufficienti per giustificare un’azione di tale portata. Gli Stati Uniti, che inizialmente sembravano esprimere riserve, hanno rapidamente cambiato tono, definendo l’operazione “rischiosa, ma legittima“. Un’inversione di posizione che, purtroppo, non sorprende, visto il costante sostegno che Washington fornisce allo Stato israeliano in ogni contesto di conflitto regionale.
L’invasione, al di là delle giustificazioni di sicurezza, appare come un atto di forza sproporzionato, che rischia di destabilizzare ulteriormente una regione già devastata da anni di conflitti e tensioni. Le operazioni militari contro Hezbollah, qualunque sia la loro precisione, portano inevitabilmente vittime civili e danni irreparabili alle infrastrutture. Questa offensiva ha già provocato morti tra i civili libanesi, tra cui sei persone, colpite durante un raid contro la casa di un leader delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa. Le perdite umane e i danni materiali si accumulano, ma il coro internazionale rimane assente.
Ciò che desta particolare preoccupazione, tuttavia, è l’assordante silenzio italiano di fronte a questo scenario. L’Italia, che ha un contingente significativo di truppe dispiegate in Libano nell’ambito della missione UNIFIL delle Nazioni Unite, sta tacendo su un’operazione militare che potrebbe mettere in pericolo i suoi stessi soldati. Le truppe italiane, impegnate da anni in missioni di peacekeeping nella regione, potrebbero ritrovarsi a rischio diretto di bombardamenti israeliani, eppure le istituzioni italiane sembrano ignorare questa minaccia.
Non si può restare indifferenti davanti alla possibilità che i nostri militari, inviati per garantire la stabilità e la pace in una zona già martoriata da conflitti, possano essere vittime collaterali di un’escalation militare scatenata da Israele. Il silenzio del governo italiano non solo sorprende, ma spaventa, perché è proprio in queste situazioni che l’Italia dovrebbe alzare la voce per tutelare la sicurezza dei propri soldati e per difendere il diritto internazionale.
La complicità silente della comunità internazionale è scandalosa. L’assenza di una condanna forte da parte delle principali potenze mondiali rappresenta una legittimazione implicita di quello che è a tutti gli effetti un atto di aggressione. Il diritto internazionale prevede chiaramente che ogni azione militare di questo tipo debba rispettare principi di proporzionalità e legittima difesa. Tuttavia, l’attacco israeliano sembra violare questi principi fondamentali, rendendo evidente come l’uso della forza militare diventi, sempre più spesso, un mezzo per realizzare interessi geopolitici senza che vi sia alcun serio intervento della diplomazia internazionale.
Ci si domanda allora: fino a che punto la comunità internazionale può permettersi di tollerare questo ciclo infinito di violenza? Quando si decide che l’uso della forza diventa illegittimo e inaccettabile? E, soprattutto, chi decide quale aggressione è giustificata e quale no? Il rischio è che l’attuale status quo porti a una completa erosione delle norme internazionali che dovrebbero regolare le relazioni tra gli Stati. Un’azione come quella intrapresa da Israele, senza una ferma condanna, invia un messaggio chiaro: l’uso della forza può essere accettato, a patto che sia fatto da chi ha sufficienti alleati nelle sedi internazionali.
Di fronte a un’invasione che non si limita a un atto di autodifesa, ma appare come una proiezione di potere, la risposta della comunità internazionale dovrebbe essere chiara e decisa. Al contrario, il silenzio e la mancanza di azione alimentano un ciclo di violenza che diventa sempre più difficile interrompere. Se il Libano è oggi il bersaglio, nulla esclude che domani tocchi a un altro Stato subire una simile violenza, avallata da una comunità internazionale che chiude gli occhi di fronte a simili aggressioni.
Il silenzio, in questo caso, non è solo complicità: è un vero e proprio contributo all’instabilità regionale e globale. Ma ciò che spaventa di più è che questo silenzio, da parte dell’Italia, metta a rischio anche la vita dei propri cittadini.
Non so piú come commentare i crimini Sionisti! Fannoatti di Guerra in Siria,Libano e Cisgiordania con la complicità Servile e Connivente di una organizzazione come l’ONU,che giudico non solo inutile,obsoleta,ma impreparata causa la sottomissione agli USA/ISRAELE! Abbiamo in Libano 1.500 nostri militari che non servono a niente costano milioni! Lasciandoli la,ci rendiamo come Paese complici di un Genocidio perpetrato dai Sionisti! Anche i Paesi Arabi abbaiano,ma non muovono concretamente un dito! Forse perché i Palestinesi,vengono considerati Semiti???
abbia pazienza.una guerra non è, come la rivoluzione, un pranzo di gala.
ma definire “un operazione militare ” quella dell’unifil in quella zona,è ridicolo.
il principale quotidiano libanese riporta che il ministro della difesa libanese ha chiesto a hezbollah di disarmare. vedremo come va a finire con coloro che avevano costruito uno stato nello stato.
Questa è l’ennesima azione militare infruttuosa (le precedenti
risalgono al 1978 , 1982 , 2006 ) che Israele sta compiendo nei
territori libanesi . Quella più prossima a questa fu eseguita e portata a termine tra il 12 luglio ed il 14 agosto del 2006 , fu battezzata “pioggia d’estate” (nome abbastanza pittoresco , ma è nota anche come guerra dei 33 giorni ) il suo esito rammenta quello della nebbia nei proverbi dei nostri nonni : “la nebbia lascia il tempo che trova” , ossia , non muta né le condizioni climatiche e né quelle pedoclimatiche ,in altri termini , come se non ci fosse mai stata , lascia tutto intatto e tutto inalterato . Infatti , dopo l’accettazione , da parte dei due belligeranti , della risoluzione 1701 dell’ONU , lo Stato di Israele rimase al suo posto , integro ed incolume , come prima , con le sue 40 , o poco più , vittime civili ed i suoi 121 soldati caduti in combattimento , ed il Libano e gli uomini di Hezbollah rimasero , anche loro integri ed incolumi , come prima , con i loro oltre 1100 caduti , tra civili e miliziani libanesi . Inoltre , sempre in ottemperanza alla suddetta risoluzione ONU , Israele restituì 5 prigionieri ed i corpi di circa 200 miliziani libanesi caduti in battaglia , mentre , Hezbollah restituì i corpi dei 3 soldati ( secondo altre fonti furono due ) israeliani rapiti in precedenza . Le uniche differenze e , purtroppo non da poco, furono le diecine o le migliaia di morti dalle rispettive parti , perdite , ahimè , irreparabili , mentre gli edifici sventrati o abbattuti e le infrastrutture fatte saltare in aria , furono , in tutto o in buona parte, ricostruite . E’ molto probabile , che anche questa volta , si assista al medesimo copione , con qualche recentissima piccola variante , come ad esempio , quella del mancato obiettivo raggiunto nel portare a segno l’uccisione di Mounir Maqdah , comandante in capo delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa , braccio armato di Al-Fatah . Evidentemente , Hezbollah memore delle ultime falle venutesi a creare nella sicurezza di Nasrallah , ha corso , prontamente , ai ripari .
Israele , da colonia ligia e diligente quale è , ha , ovviamente , informato la madrepatria americana , prima di dare inizio alle incursioni aeree in territorio libanese , battezzate “Northern Arrows” (Frecce del Nord , altro nome pittoresco) . Washington , dal canto suo , dopo aver dato semaforo verde , si è subito premurata di proteggere le spalle della sua colonia , inviando , come atto di deterrenza verso l’Iran , ben due portaerei nel Golfo Persico : la Eisenhower e la Theodore Roosevelt . Le cancellerie dei Paesi europei , infine e , qui non c’è proprio nulla da meravigliarsi , memori e , soprattutto , riconoscenti del potere conferitoli dagli USA nel 1945 , dopo la solita sceneggiata di facciata , come è lecito aspettarsi da dei sudditi impotenti, impediti ed impossibilitati , si sono messi a guardare .
già,come ricostruzione non è male,ma basta leggere lo statuto di hezbollah e quel che è diventato in Libano.
io ci sono stato negli anni 80.ed ho parlato con la gente del posto( principalmente sud del libano).quella che era considerata la Svizzera del medio oriente è diventata, dopo la guerra civile, un compromesso fra religioni ed i loro referenti politico militari. hezbollah,che mirava a rappresentare il gruppo sciita a mandato tutto a puttane .
grazie anche alla cancellazione dell’enclave cristiana di haddad che faceva da cuscinetto tra il confine ed il litani.
L’ambizione di dividere il Libano e staccarlo dal mondo arabo, la guerra civile (dal 1975 al 1990) che ne è seguita e la divisione del Paese secondo linee settarie sono frutto di una strategia formulata da Israele fin dagli anni ’50 e applicata nei decenni successivi con grande efficacia. Una testimonianza di ciò, non sospettabile di faziosità, ci viene dal “Diario personale 1953-1956” di Moshe Sharett, che fu primo ministro d’Israele nel 1954-55. Ne riporto un estratto datato 27 febbraio 1954:
“Allora Ben Gurion è passato a un altro argomento. Questo è il momento, ha detto, di spingere il Libano, cioè i maroniti di quel paese, a proclamare uno Stato cristiano. Ho risposto che questo era assurdo. I maroniti sono divisi. I partigiani del separatismo cristiano sono deboli e non oseranno fare nulla. Un Libano cristiano significherebbe la loro rinuncia a Tiro, a Tripoli e alla Beka’a. Non c’è forza che potrebbe riportare il Libano alle sue dimensioni antecedenti alla prima guerra mondiale, tanto più che, in tal caso, esso perderebbe la sua ragion d’essere. Ben Gurion ha reagito furiosamente. Ha iniziato a elencare le giustificazioni storiche per un Libano cristiano, di dimensioni ridotte. Se dovesse verificarsi un’evoluzione del genere, le potenze cristiane non oserebbero opporvisi. Ho affermato che non vi è alcuna forza pronta a creare una situazione del genere e che, se l’avessimo spinta e incoraggiata da soli, ci saremmo gettati in un’avventura che ci avrebbe coperti di vergogna. A questo punto è arrivata un’ondata di insulti sulla mia mancanza di audacia e sulla mia ristrettezza mentale. Dovremmo mandare alcuni agenti e spendere un po’ di danaro. Ho detto che non c’è danaro. La risposta è stata che una cosa del genere è inconcepibile. Il danaro si deve trovare, se non al Tesoro, allora all’Agenzia ebraica! Per un progetto del genere vale la pena di spendere centomila, mezzo milione, un milione di dollari. Quando questo avverrà, avrà luogo in Medio Oriente un cambiamento decisivo, inizierà una nuova era. Mi sono stancato di lottare contro un vortice”.
Da notare che all’epoca il Libano era il vicino più pacifico di Israele. La volontà sionista di disgregarlo non fu giustificata neppure con la foglia di fico della sicurezza o della difesa.
Beh, nonostante il quadro drammatico della situazione, nei giorni scorsi abbiamo avuto un segnale che la comunità internazionale comincia a svegliarsi. Il 27 settembre, all’ONU, le delegazioni di tutti i Paesi, tranne quelli occidentali, hanno lasciato l’aula quando Netanyahu ha preso la parola; i diplomatici di gran parte del mondo hanno voltato le spalle al genocida sionista lasciandolo blaterare in un’aula semivuota, ascoltato solo da quattro gatti occidentali. Il fatto è che l’ONU (con sede a New York, non a caso) è un’istituzione oggettivamente impotente, dato il veto che gli Stati Uniti pongono automaticamente su tutte le risoluzioni contrarie a Israele.