Donald Trump torna alla Casa Bianca, rivendicando una “vittoria storica” e promettendo di “rimettere a posto l’America”. Nel discorso della vittoria, ha rilanciato il motto “Make America Great Again”, dichiarando di voler risolvere le questioni economiche, rafforzare i confini e riportare sicurezza al Paese.
Il successo è stato segnato dal forte sostegno negli Stati chiave come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, insieme alla Georgia e alla North Carolina, che hanno riportato Trump al potere. I democratici, incapaci di mantenere il “muro blu” che aveva sostenuto Biden, hanno lasciato emergere il fascino duraturo del messaggio populista, con un inaspettato aumento del consenso anche tra alcune minoranze.
Dietro la vittoria di Trump si cela il malcontento verso l’amministrazione Biden, alle prese con inflazione e problemi di sicurezza, temi che il leader repubblicano ha abilmente sfruttato per mobilitare i suoi elettori. In tutto questo, non è mancato l’appoggio di potenti alleati, inclusi alcuni gruppi che sostengono con forza le posizioni filo-israeliane di Trump. La sua vicinanza a Israele è stata un elemento cruciale della campagna, ma ha anche destato preoccupazioni tra chi teme che questo rapporto stretto possa avere implicazioni gravi per il Medio Oriente, in particolare per la già delicata situazione palestinese. Con la sua rielezione, c’è infatti chi teme che l’approccio fortemente pro-israeliano possa inasprire ulteriormente il conflitto israelo-palestinese, marginalizzando i diritti dei palestinesi e rischiando di alimentare tensioni.
Paradossalmente, l’ascesa di Trump potrebbe invece portare a una svolta in Ucraina: in campagna elettorale, il neo-rieletto presidente aveva promesso di adoperarsi per una rapida soluzione diplomatica al conflitto, prospettando persino una pace negoziata che, se attuata, migliorerebbe il clima di sicurezza in Europa e ridurrebbe le tensioni economiche che pesano su molti Paesi. Questa prospettiva, sebbene controversa e tutta da verificare, potrebbe rappresentare uno spiraglio per l’Europa, che verrebbe parzialmente alleggerita dalle pressioni derivanti dalla guerra ai propri confini.
La vittoria di Trump ha trovato eco anche al Congresso, dove i repubblicani hanno ottenuto seggi cruciali al Senato, sebbene alla Camera la situazione sia ancora incerta. Con il ritorno di Trump, l’America sembra avviarsi verso una fase di forte nazionalismo, in cui la solidità dell’alleanza con Israele sarà centrale e la politica estera si concentrerà sulla risoluzione di conflitti strategici, con possibili ripercussioni anche positive per la stabilità europea.
Speriamo che ora, almeno sul conflitto in Ucraina, Trump rispetti quanto affermato in campagna elettorale. Dire di far finire il giorno dopo il conflitto in Ucraina, significa che lui sa di saper fermare il conflitto, sapendo, che è la stessa America che lo ha trascinato fino a questo punto e, nello stesso tempo, è anche suo volonta politica, come affermato in campagna elettorale. Per il resto,lui, o almeno i media che ce lo hanno presentato, parla di far finire più guerre, ma noi sappiamo in realtà quanto sia contraddittoria questa frase. Far finire la guerra in Ucraina e fermare le sanzioni contro la Russia sarebbe positivo per tutta l’Europa. Il fatto che anche Tulsi Gabbard abbia sostenuto Trump è positivo, ma è contraddittorio il supporto ad Israele. Quindi, a mio avviso, tutto ciò che accadrà si dispiegherà sul triangolo di relazioni e opposizioni tra USA, Russia ed Israele,anche se la guerra in Ucraina ha fortunatamente consolidato le relazioni tra Russia ed Iran, che sono diventate militari. Visto che le buone relazioni con la Russia sono diventate il suo cavallo di battaglia, non può Trump portarsi in maniera bellicosa con l’Iran. Bisognerà vedere, quindi, in termini di politica reale, come in realtà si comporterà Trump,dal momento che sappiamo quali sono le lobby che comunque lo sostengono.
Non credo sia un caso che nel giorno stesso delle elezioni americane netanyahu abbia licenziato il moderato ministro della difesa gallant (lo so che sembra un paradosso definirlo moderato) e messo katz che è molto più estremo di gallant per quanto riguarda le guerre contro la Palestina ed il Libano.
Secondo me, al contrario dei sondaggi pubblicati nei giornali mainstream, netanyahu aveva i sondaggi seri e sapeva che sarebbe stato eletto trump.
Oggi possiamo festeggiare perché la parte peggiore dell’America è stata sconfitta. Però nessuno si illuda che la vittoria di Trump possa cambiare radicalmente le linee strategiche della politica statunitense, essendo queste dettate dal Deep State – sicuramente infastidito dall’esito elettorale, ma ancora saldamente al potere. Così come Biden prendeva ordini dai suprematisti ebrei e filo-sionisti attraverso i suoi collaboratori Blinken, Yellen e Mayorkas, anche Trump, con tutta probabilità, sarà manovrato dagli stessi soggetti tramite suo genero Kushner.
Come detto nell’articolo, è proprio la sua posizione fanaticamente filo-sionista a destare maggiore preoccupazione. Il suo principale ideologo di riferimento è il filosofo israeliano-americano Yoram Hazony, il quale mescola l’arrivismo economico tipico del protestantesimo anglosassone con il primato giudaico sul resto dell’umanità. Spero vivamente di essere smentito, ma ipotizzo che con Trump alla Casa Bianca aumenteranno i rischi di una guerra con l’Iran e aumenterà il già altissimo sostegno militare, finanziario e diplomatico degli Stati Uniti allo Stato ebraico per consentirgli di continuare indisturbato il genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza, la pulizia etnica in Cisgiordania, i bombardamenti in Libano e anche in Siria.
Sul fronte europeo, invece, non ci sarà più il rischio, almeno per qualche anno, di un conflitto diretto tra Russia e NATO in Ucraina, la nuova amministrazione USA prenderà realisticamente atto che la guerra in Ucraina l’ha vinta la Russia e negozierà – non senza tensioni – i nuovi confini.
Nei rapporti con la Cina, prevedo che con la presidenza Trump diminuiranno i rischi di conflitto militare per Taiwan, ma ci sarà un inasprimento della guerra commerciale, con dazi che non risparmieranno nemmeno i Paesi europei.