Le strade di Tbilisi, illuminate dai riflettori delle proteste, sono il nuovo campo di battaglia simbolico per la Georgia. Le manifestazioni pro-UE, che ormai da giorni infiammano il Paese, raccontano non solo il dissenso popolare, ma anche un quadro geopolitico complesso e manipolabile, dove le ombre di governi fantoccio e influenze straniere si stagliano minacciose sul destino di una nazione. Dietro il caos, emerge una domanda cruciale: chi decide realmente il futuro della Georgia?
Il nocciolo della crisi politica attuale risiede nelle elezioni legislative del 26 ottobre, che hanno visto il partito al governo, Sogno Georgiano, dichiarare la vittoria. Tuttavia, questa tornata elettorale è stata oggetto di contestazioni da parte dell’opposizione pro-UE, che ha denunciato presunti brogli e boicottato il Parlamento. Salomé Zourabichvili, presidente dichiaratamente filo-europeo, si è posta come figura di opposizione al governo, chiedendo l’annullamento delle elezioni da parte della Corte Costituzionale e sostenendo di essere l’unica istituzione legittima rimasta nel Paese. Questa situazione ha polarizzato la società georgiana e attirato l’attenzione internazionale. L’Alto rappresentante UE, Kaja Kallas, ha condannato l’uso della violenza contro i manifestanti, sostenendo che “le scelte del popolo georgiano devono essere rispettate“. Ma questa presa di posizione cela una questione spinosa: quanto è genuina l’intenzione dell’Occidente di rispettare la volontà popolare, e quanto invece è un tentativo di manipolarla?
Le dichiarazioni del primo ministro Irakli Kobajidze, che accusa “radicali e sponsor stranieri” di voler destabilizzare la Georgia, non sono da liquidare come semplice retorica. L’esperienza dell’Ucraina nel 2013-2014 pesa come un monito. Allora, una spinta verso l’integrazione europea, supportata da significativi interventi occidentali, sfociò in un conflitto interno devastante. Kobajidze avverte: la Georgia non è l’Ucraina, ma il rischio di un’escalation simile è reale. I governi fantoccio, spesso istituiti con il pretesto di promuovere la democrazia, si sono dimostrati strumenti di destabilizzazione che negano la volontà popolare. Questo modello minaccia anche la Georgia, un Paese che storicamente oscilla tra Est e Ovest, intrappolato in un delicato equilibrio tra le sue aspirazioni europee e le sue relazioni con la Russia.
Le proteste pro-UE rappresentano un grido di cambiamento, ma la loro dinamica solleva interrogativi. L’opposizione parla di manifestazioni pacifiche, mentre il governo denuncia atti di violenza e provocazioni. Gli scontri, con oltre 40 feriti e barricate erette accanto al Parlamento, evidenziano una tensione crescente che rischia di sfuggire di mano. Parallelamente, la narrativa occidentale spesso riduce la complessità della situazione a una dicotomia “democrazia contro autoritarismo”. Tuttavia, la realtà è più sfumata: è possibile sostenere il popolo georgiano senza imporre soluzioni prefabbricate? Oppure, come temuto da Kobajidze, l’Occidente sta cercando di “riprogrammare” la Georgia per adattarla ai propri interessi strategici?
La Georgia si trova a un crocevia cruciale. Da un lato, il desiderio di molti cittadini di integrarsi nell’UE e di allontanarsi dall’influenza russa; dall’altro, il rischio di perdere la sovranità a favore di agende straniere. La chiave di volta risiede nella capacità del popolo georgiano di determinare il proprio destino, senza interferenze esterne mascherate da aiuti o pressioni. L’Occidente deve riflettere seriamente sul proprio ruolo: sostenere il popolo georgiano significa rispettarne davvero le scelte, anche quando queste non coincidono con gli interessi strategici di Bruxelles o Washington. Al contrario, continuare a spingere per governi “filo-occidentali” a tutti i costi rischia di trasformare la Georgia in un nuovo teatro di scontri geopolitici, dove la volontà popolare diventa un pretesto, non una priorità.
In conclusione, il caso georgiano non è solo una questione interna, ma un banco di prova per la credibilità dell’Occidente e per il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli. La storia giudicherà chi avrà saputo mettere al primo posto la sovranità della Georgia, senza piegarla a interessi di parte.
Con le elezioni del 26 ottobre scorso il popolo georgiano ha chiaramente deciso di non voler fare della Georgia una seconda Ucraina.
Già all’indomani delle elezioni era chiaro che il parlamento e il governo, legittimati dal voto popolare, avrebbero dovuto affrontare il tentativo di sobillazione di una guerra civile, da parte degli agenti dei servizi occidentali presenti in forze nel Paese, al fine di capovolgere i risultati elettorali e spingere l’ex repubblica sovietica verso la NATO a guida USA (di cui l’Unione Europea è solo la proiezione politico-economica). Da notare che il presidente della Georgia, il fantoccio atlantista che sta promuovendo il golpe stile piazza Maidan, è una ex ambasciatrice francese naturalizzata georgiana (sic!).
Il disconoscimento del risultato di libere elezioni è stato tentato anche in Romania, dove però è stato stoppato ieri dalla massima autorità giudiziaria del Paese, che ha confermato la vittoria al primo turno di Calin Georgescu (bollato subito dalla stampa occidentale come “ultranazionalista filo-russo di estrema destra”) e ha dato il via libera al ballottaggio che si terrà l’8 dicembre.
Invece, tutto è stato considerato regolare nelle elezioni presidenziali che si sono tenute in Moldavia. I cittadini moldavi residenti in patria, al burattino filo-occidentale Maia Sandu votata dal 48,02%, hanno preferito il suo oppositore che ha preso il 51,98% dei voti. Ma l’esito elettorale è stato capovolto dal voto della diaspora moldava. Il trucco è stato questo: i moldavi residenti all’estero nei Paesi europei sono stati inondati di schede elettorali e hanno potuto votare in seggi allestiti ovunque (solo in Italia sono stati aperti ben 60 seggi); invece per gli oltre 500.000 moldavi (alcune stime parlano di 700.000) residenti in un Paese enorme come la Russia, le autorità moldave hanno allestito soli 2 seggi e inviato appena 10.000 schede elettorali. Di fatto, ai cittadini moldavi residenti in Russia è stato impedito l’esercizio del diritto di voto. Ma per i Paesi occidentali non c’è stato nessun problema, il voto è stato validissimo!
Ormai lo hanno capito anche i bambini: se i risultati elettorali non piacciono a Washington e a Bruxelles, le elezioni non sono valide; se invece piacciono, allora non ci sono brogli che tengano, il voto popolare è sacro e inviolabile! Questa è la “democrazia” dell’Occidente collettivo. Con gli Stati Uniti che pretendono di decidere il destino (di morte, Ucraina docet!) di un Paese come la Georgia che si trova a 10.000 chilometri dalle coste americane!
Se in Georgia il governo legittimo non dovesse essere in grado di sedare la rivolta eterodiretta dalla CIA e dai suoi inservienti europei, spero che non esiti a chiedere l’intervento diretto della Federazione Russa.
beh,vorrei anche vedere che la presidente georgiana non sostenesse la storia dei brogli.fino a pochi anni fa era l’ambasciatore francese in Georgia. poi,visto che era una georgiana nata all’estero, si è fatta naturalizzare ed è diventata la lunga mano di macron e della nato nel caucaso. farà di tutto x non mollare la poltrona e favorire un colpo di stato. ( magari tipo Corea del sud)
Dopo l’Ucraina , sembra proprio che tocchi
alla Georgia .
Il processo di destabilizzazione , posto in essere da NATO , USA ed Europa, procede come stabilito dalla tabella di marcia messa a punto dagli Stati Uniti , che con questa ed altre “marachelle” si sono , ormai palesati , anche agli occhi dei più distratti osservatori , come i principali nemici della pace mondiale .
Basta dare uno sguardo alla denominazione delle cariche ed alle parole dette dai suoi giannizzeri europei .
L’Estone Kaja Kallas , rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea e la politica di sicurezza e la Slovena Marta Kos , commissario per l’allargamento e le politiche di vicinato ( il nome , del suo dicastero, è già di per sé è tutto un programma . In nome omen , avrebbero detto i latini) , in un loro comunicato congiunto , hanno dichiarato che queste azioni repressive , da parte del governo georgiano , avranno delle dirette conseguenze sulle azioni bilaterali con l’Unione Europea , la quale è ancora in attesa del rapporto finale dell’OSCE sulle elezioni del 26 ottobre scorso . Elezioni che Bruxelles ha chiesto di ripetere .
E’ strano , possiamo noi osservare , che quando un responso elettorale non li garba , allora c’è puzza di brogli ,mentre quando li è gradito , allora occorre che assurga ad emblema dell’incorruttibile volontà popolare .
Ed è altrettanto strano , osserviamo ancora , di come l’antimeritocratica lottizzazione di genere renda iattanti ed insolenti .
Ma l’amministrazione Biden , ha fatto di meglio , ha sospeso la cosiddetta strategic partnership , avviata nel 2009 , riguardante gli scambi bilaterali culturali , l’economia , l’energia , il commercio , la difesa e la sicurezza .
Il capo del governo georgiano ,Irakli Kobakhidze , ha asserito , invece ,di non temere affatto le decisioni di Biden , ormai uscente , e di attendere l’insediamento di Trump .
Per niente diplomatico , ma duro e minaccioso , è stato l’intervento del russo Dimitrij Medvedev , che laconico ha così dichiarato : ” In generale , ci sono ancora tutti i presupposti per far precipitare la Georgia nel baratro della guerra civile , costringendola a scegliere tra la tracotante UE , USA e NATO , da una parte , e l’antica terra di Sakartvelo , dall’altra .
In breve , i nostri vicini si stanno celermente incamminando lungo lo stesso percorso ucraino e verso lo stesso tetro abisso ” .
Come dire , in altri termini , a buon intenditore , poche parole .
P . S . Una curiosità per gli amanti dell’erudizione , il termine Sakartvelo , usato da Medvedev , non è un refuso letterario o grammaticale , dovuto alla foga delle sue parole , ma è il nome della Georgia . I Georgiani chiamano la loro terra così : Sakartvelo e , se stessi Kartvelni . Il termine è da far risalire all’antico e mitico re Kartlos , una sorta di eroe eponimo che dette il nome a quella terra ed a quel popolo . Come da noi Romolo , da cui Roma e da cui Romani , oppure , l’altrettanto mitico Italo , da cui Italia e da cui Italiani . Tralasciando la mitologia , i Kartvelni sono stati sempre un popolo fiero , orgoglioso della propria cultura , tradizione e lingua , basti pensare che la loro lingua (Kartveluri enebi , ossia , lingue Cartveliche e Kartuli enei , la loro lingua , parlata da 4,5 milioni di parlanti) è un idioma autoctono e costituisce , nel panorama glottologico mondiale , una vera unicità , è , infatti , una delle 14 lingue uniche parlate sul nostro pianeta .
La loro terra è rimasta per un po’ sconosciuta alle civiltà occidentali . Gli antichi Greci e Romani la conoscevano con il nome di Colchide ( la parte più prossima al Mar Nero ) o con il nome di Iberia ( Iberia Caucasica o Orientale , quella un po’ più a nord , da non confondere , però , con l’Iberia Occidentale , ossia , la Penisola Iberica , costituita da Spagna e Portogallo), ma anche con il nome di Albania (quella più a settentrione ,ed anche qui , da non confondere con l’Albania Balcanica , quella con capitale Tirana) . Quelle terre erano abitate , tra gli altri , da Moschi , Sasperi e Kartli , e furono contese , a lungo , prima tra Persiani e Romani e , poi tra Bizantini e Persiani , fino al 645 d . C . , quando furono assoggettate dagli Arabi .
Nel IX secolo Ashot (813 – 830 d . C . ) ottenne l’indipendenza e costituì il primo nucleo di una futura nazione .
Gli antichi Persiani , già ai tempi della dinastia Sassanide , chiamarono quella regione caucasica , Gurgistan , i vicini Turchi la denominarono Gurgia , mentre per i confinanti Russi era detta Gruzija . Nel XIII secolo fu raggiunta dai monaci e cristianizzata (l’83% degli abitanti , dell’attuale Georgia , sono cristiani ortodossi) ed il suo nome , preso da quei termini , fu latinizzato e poi italianizzato in Georgia . Anche qui da non confondere con l’omonimo Stato degli Stati Uniti d’America , che divenne provincia coloniale della corona Britannica , nel 1732 , per volere di re Giorgio II ( da cui il suo nome) .