di Luigi Cortese

La Siria, guidata da Bashar al-Assad dal 2000, è al centro di una delle crisi più complesse del nostro tempo. Il conflitto, iniziato nel 2011 come rivolta popolare, si è trasformato in una guerra civile segnata da pesanti ingerenze straniere e dalla presenza di gruppi jihadisti sostenuti dall’Occidente.

La leadership di Assad: stabilità e sovranità

Assad ha mantenuto una linea politica focalizzata sulla protezione della sovranità nazionale e sull’opposizione alle interferenze occidentali. In un paese dalla complessa composizione etnica e religiosa, ha cercato di preservare l’unità attraverso uno Stato centralizzato e laico. Durante il conflitto, ha presentato la sua lotta come una difesa contro il terrorismo, più che contro un’opposizione legittima.

I ribelli: un’opposizione manipolata?

L’Occidente ha sostenuto i ribelli siriani definendoli “moderati“, ma sul campo hanno prevalso gruppi jihadisti come al-Nusra e ISIS. Il supporto logistico e militare di Stati Uniti, Turchia e monarchie del Golfo ha spesso rafforzato queste fazioni estremiste, rivelando il vero obiettivo: destabilizzare la Siria per indebolire un regime contrario alle politiche occidentali in Medio Oriente.

Il ruolo di Russia e Iran

L’intervento della Russia e il sostegno dell’Iran hanno permesso ad Assad di respingere l’assalto jihadista e di consolidare il controllo su gran parte del paese. Per i sostenitori di Assad, questa alleanza è stata fondamentale per preservare la Siria come Stato sovrano, opponendosi al progetto occidentale di frammentazione regionale.

Il conflitto siriano non è solo una guerra civile, ma uno scontro geopolitico tra sovranità e imperialismo. Bashar al-Assad, nonostante le accuse di repressione, è visto da molti come il difensore di una Siria indipendente contro un’aggressione orchestrata dall’Occidente e dai suoi alleati. La Siria rappresenta oggi un simbolo della resistenza contro l’interventismo straniero mascherato da lotta per la democrazia.

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