di Luigi Cortese

Abu Mohammad al-Jolani, nato Ahmad Hussein al-Shara, è una delle figure più enigmatiche e controverse del panorama jihadista contemporaneo. Conosciuto principalmente come il leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), gruppo dominante nella provincia siriana di Idlib, al-Jolani rappresenta un’evoluzione sofisticata dell’islamismo armato, capace di mutare strategia e immagine per sopravvivere in un contesto geopolitico ostile. Tuttavia, dietro la facciata di “leader pragmatico”, al-Jolani rimane saldamente radicato nel mondo islamista, con una visione che rifiuta i principi di pluralismo e democrazia.

La traiettoria di al-Jolani inizia all’interno del movimento jihadista globale. Dopo aver lasciato Daraa per partecipare alla guerra in Iraq, al-Jolani si unì ad Al-Qaeda, collaborando strettamente con figure come Abu Musab al-Zarqawi, responsabile di atrocità settarie e attentati su larga scala. Questo legame non solo definì la sua formazione ideologica, ma cementò la sua adesione a una visione islamista radicale che considera il jihad armato come strumento principale per ottenere il potere.

Con l’esplosione della guerra civile siriana nel 2011, al-Jolani tornò in patria e fondò Jabhat al-Nusra, braccio siriano di Al-Qaeda. Sotto la sua guida, il gruppo si distinse per tattiche spietate e una visione esclusivista della religione, eliminando chiunque non condividesse la loro interpretazione estremista dell’Islam. Jabhat al-Nusra giocò un ruolo chiave nelle battaglie contro il regime di Assad, ma il suo approccio ideologico e i suoi metodi violenti lo resero inviso a gran parte della comunità internazionale e ad altre fazioni ribelli.

Nel 2016, al-Jolani annunciò una presunta “rottura” con Al-Qaeda, trasformando Jabhat al-Nusra in Jabhat Fatah al-Sham e successivamente in Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). Questo cambiamento, presentato come un passo verso la “siriazzazione” del movimento, fu in realtà un gesto puramente tattico.

La decisione mirava a ridurre la pressione internazionale, allontanando il gruppo dall’etichetta di organizzazione terroristica globale, senza però rinunciare alla sua essenza ideologica. Al-Jolani e HTS continuarono a imporre una rigida interpretazione della legge islamica nelle aree sotto il loro controllo, reprimendo attivisti democratici, giornalisti e minoranze religiose.

La provincia di Idlib, dove HTS ha consolidato il proprio potere, rappresenta un microcosmo del progetto islamista di al-Jolani. Sotto il suo controllo, il gruppo ha instaurato un sistema di governance basato su una visione integralista della sharia, con il cosiddetto “Governo di Salvezza” che serve da facciata amministrativa.

Nonostante gli sforzi per presentarsi come un’alternativa legittima al regime di Assad, HTS rimane un gruppo autoritario che non tollera opposizione. Tribunali islamici giudicano i casi secondo interpretazioni estremiste, mentre le donne e le minoranze religiose affrontano discriminazioni e restrizioni. Le violazioni dei diritti umani sono sistematiche, con arresti arbitrari, torture e omicidi mirati di attivisti laici o rivali politici.

Negli ultimi anni, al-Jolani ha intrapreso una campagna per migliorare la sua immagine pubblica. In apparizioni pubbliche, è stato visto indossare abiti civili invece delle tradizionali uniformi jihadiste, tentando di apparire come un leader moderato e pragmatico. Tuttavia, questa metamorfosi è priva di sostanza: non ci sono prove che al-Jolani abbia abbandonato i suoi principi islamisti. Emblematica in questo senso è stata la recente apparizione a Damasco, dove al-Jolani ha incontrato l’ex primo ministro siriano Riad Hijab. Questo incontro, immortalato in un video che ha fatto il giro dei media internazionali, è stato interpretato come un ulteriore tentativo di legittimazione politica, ma ha anche sollevato interrogativi sulla reale autonomia delle sue scelte e sul rapporto con le dinamiche politiche regionali.

La sua retorica rimane radicata nel rifiuto di qualsiasi forma di governo che non si basi sulla legge islamica. Nonostante gli sforzi per ottenere riconoscimento internazionale, HTS continua a mantenere legami ideologici con l’estremismo, collaborando con altri gruppi jihadisti e utilizzando tattiche terroristiche per rafforzare il proprio potere.

Abu Mohammad al-Jolani non è un semplice leader di una fazione ribelle, ma un simbolo della capacità del jihadismo di adattarsi e sopravvivere. La sua strategia, che mescola pragmatismo politico e ideologia islamista, rappresenta una minaccia non solo per il futuro della Siria, ma anche per la sicurezza regionale e globale.

La comunità internazionale deve guardare oltre la retorica di al-Jolani e riconoscere che HTS, sotto la sua guida, non è un attore moderato né un partner affidabile. Qualsiasi tentativo di normalizzare il suo ruolo rischia di legittimare un progetto autoritario basato sull’oppressione e sull’esclusivismo religioso.

Al-Jolani rimane, in ultima analisi, un prodotto del jihadismo globale, mascherato da attore politico locale. La sua leadership non offre una via d’uscita per la Siria, ma perpetua un ciclo di violenza e repressione, intrappolando milioni di siriani in un futuro dominato dall’intolleranza e dalla paura.

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