di Gloria Callarelli

Il Generale Marco Bertolini è un ufficiale italiano in congedo, noto per la sua lunga e prestigiosa carriera militare e per le sue analisi geopolitiche approfondite. Durante il servizio attivo, ha ricoperto ruoli di rilievo, tra cui quello di comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI), un organo cruciale nella pianificazione e gestione delle missioni militari italiane all’estero. Esperto in operazioni aerotrasportate e con un’importante esperienza in contesti internazionali, è considerato una voce autorevole sulle dinamiche strategiche globali, con particolare attenzione al Medio Oriente e all’area del Mediterraneo.

 

Di seguito, troviamo un’esclusiva intervista al Generale Bertolini, in cui offre il suo punto di vista sugli attuali scenari di crisi, analizzando le implicazioni per la Siria, il Medio Oriente, Israele e l’Europa, oltre a commentare l’impatto della politica statunitense nel contesto globale.

 

  1. Cosa ne pensa di quanto accaduto in Siria? Cosa accadrà ora in Medio Oriente?
    In Siria sono arrivate a compimento le Primavere arabe. Non parlo delle Primavere arabe intese come moto di ribellione, seppur manovrato dall’esterno, di alcune popolazioni nei confronti dei propri leader tradizionali; intendo invece le Primavere arabe come sconvolgimento epocale che ha avuto come effetto – e ritengo come fine – quello di colpire gli interessi russi in Medio Oriente e nel Mediterraneo. Con esse si è divisa infatti in due la Libia con gli interventi aerei statunitensi, britannici e francesi, per poi arrivare alla Siria, principale alleato della Russia nella regione, sopravvissuto alla guerra in Iraq che aveva già eliminato Saddam, e sede di importanti basi militari (Tartus e Hmeimin) di Mosca. La prima, in particolare, è una base di rilevanza strategica per l’operatività al di fuori del Mar Nero della flotta russa basata su Sebastopoli, contro la quale si scontrano le pretese di Zelensky per un ritorno della Crimea nelle disponibilità di Kiev.
    Insomma, non si tratta certamente di un caso se, nel momento in cui la Russia sembra prevalere in Ucraina, suoi interessi strategici importantissimi vengono messi a rischio nel Mediterraneo. A queste considerazioni se ne potrebbero aggiungere molte altre, con riferimento, ad esempio, alle ambizioni territoriali di Turchia e Israele, ma credo che soprattutto si tratti del risultato di uno sforzo prodotto dagli USA da molti anni per scalzare la Russia dalla regione; sforzo che si era interrotto solo grazie alla vittoria di Trump nelle elezioni del 2016. Se avesse vinto la moglie di Clinton in quella circostanza, questi scenari li avremmo vissuti con quattro anni di anticipo.
    In sostanza, credo che il Medio Oriente attraverserà un periodo di ancor maggiore turbolenza, anche se sia Mosca che Teheran non hanno interesse a svegliare il can che dorme provocando escalation nell’area, che metterebbero in pericolo la continuazione dei successi di Mosca in Ucraina con una saldatura dei due conflitti impossibile da governare.
  2. Ritiene che quanto accaduto sia dovuto alla nomina di Trump?
    No, tutt’altro. Si tratta di un’operazione che è scattata ora proprio per paura che l’arrivo del prossimo presidente USA possa creare la stessa pausa operativa che si ebbe dal 2016 al 2020-22. Insomma, si inserisce tra i provvedimenti (autorizzazione all’uso di ATACMS e Storm Shadow americani, francesi e britannici in Russia, dimostrazioni antigovernative in Georgia, elezioni dubbie in Moldavia, elezioni annullate in Romania) presi o comunque ispirati, a mio avviso, dalla morente amministrazione USA a elezioni ormai celebrate, per mettere Trump di fronte al fatto compiuto: una guerra che veda in gioco gli interessi USA e dalla quale non potrà astenersi chi ha come motto “Make America Great Again”.
    Insomma, a prescindere dalla nomina di Trump, quello che vediamo sarebbe comunque successo; ma non c’è dubbio che l’accelerazione di cui siamo testimoni è da imputare alla fretta di precedere la sua prossima nomina il 20 gennaio. C’è ancora molto tempo, purtroppo.
  3. Quale il ruolo di Israele?
    Israele ha sempre avuto un atteggiamento ostile nei confronti della Siria. Da quando la guerra nel Paese è iniziata sulla scia delle Primavere arabe (preferirei il termine Inverno arabo, visti i risultati), lo Stato ebraico è sistematicamente intervenuto con la propria aeronautica bombardando obiettivi militari e non militari, accreditando in essi presenze iraniane a esso ostili. Ma certamente c’è stata un’ulteriore accelerazione dopo la guerra a Gaza e la successiva guerra in Libano, che ha colpito un importante alleato del governo di Assad in Hezbollah, il movimento politico e militare (rappresentato nel parlamento libanese) espressione della cospicua comunità sciita del Paese dei Cedri. A immediata premessa dell’operazione dei terroristi di Hayat Tahrir al-Sham che ha portato alla caduta di Assad, inoltre, sono stati ripetuti gli interventi aerei di Tel Aviv contro obiettivi in Siria, realizzando così una sinergia tra realtà diverse e tutte finalizzate a combattere il proprio nemico principale: l’unico alleato di Mosca nella regione.
    Insomma, meglio al-Qaeda e ISIS per Israele che Assad, anche perché forniscono ulteriori motivazioni per produrre altri interventi nell’area contro il pericolo del terrorismo.
  4. Cosa ritiene accadrà adesso in Europa? Ritiene che con Trump si arriverà alla pace?
    L’Europa è afona e senza idee. Risentirà delle turbolenze nel Vicino Oriente ma non farà nulla che non sia deciso a Washington e a Londra. Per questo, un cambio di rotta negli USA sarebbe una grossa fortuna. Quanto al fatto che Trump possa effettivamente portare alla pace, sarei prudente. Per Mosca, infatti, ci sono alcune misure, prima tra tutte la neutralità dell’Ucraina, di carattere esistenziale sulle quali non pare intenzionata a cedere. E questo potrebbe portare a un tira e molla con le richieste di Trump che potrebbero indispettirlo. E poi c’è da tenere conto del forte legame degli USA, sia quelli Dem che Rep, con Israele, che in un certo senso è organico agli Stati Uniti stessi. E Trump non ha mai nascosto la sua forte avversione per l’Iran, fino ad arrivare al punto di far assassinare il generale Suleimani, il principale protagonista della vittoria di Assad sull’ISIS.
    Insomma, credo che cercherà di fare qualcosa per tenere fede alle sue dichiarazioni in campagna elettorale, ma non scommetterei troppo sulle effettive possibilità da parte sua di fare “macchine indietro”.
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