di Luigi Cortese

La piccola Sila, una neonata di appena pochi mesi, è morta nel freddo delle notti di Gaza, vittima di una tragedia che non può essere ignorata. Il suo decesso, avvenuto a causa delle condizioni disumane in cui vivono migliaia di palestinesi, è l’ennesima conseguenza di un conflitto che ha ormai il sapore di un genocidio sistematico. La sua morte, in una zona devastata dalla guerra e dall’assedio, è un simbolo del prezzo terribile che la popolazione civile paga ogni giorno.

Sila non è morta sotto i bombardamenti diretti, ma a causa dell’impossibilità di accedere a riscaldamento, cibo e cure mediche adeguate, condizioni che sono il risultato di un blocco che dura ormai da più di 15 anni. Con l’inverno che stringe Gaza in una morsa di freddo, le famiglie palestinesi vivono in case distrutte o in rifugi improvvisati, senza elettricità e con scorte di carburante ridotte al minimo. La morte di una neonata in queste circostanze non è un caso isolato, ma una tragedia che si ripete ogni giorno.

Le politiche di Israele, che impongono un blocco totale su Gaza e bombardano sistematicamente le infrastrutture vitali, sono ormai un atto di genocidio. Non si tratta solo di una guerra, ma di un tentativo deliberato di annientare la popolazione palestinese attraverso la fame, il freddo, la mancanza di cure mediche e la distruzione di ogni possibilità di sopravvivenza dignitosa. E mentre le vittime innocenti come Sila muoiono, la comunità internazionale continua a rimanere in gran parte silenziosa e complice.

Il caso di Sila non è solo una tragedia individuale, ma un simbolo di un genocidio che non può più essere ignorato. La morte di questa neonata è un grido di dolore che deve scuotere le coscienze del mondo intero. È ora che la comunità internazionale agisca con fermezza per fermare l’impunità di Israele e sostenere il diritto del popolo palestinese a vivere in pace, libertà e dignità. Ogni morte come quella di Sila è una ferita per l’umanità intera.

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