di Luigi Cortese

La recente missione diplomatica dell’Unione Europea in Siria, che ha visto i ministri degli Esteri di Francia e Germania incontrare Ahmed al-Sharaa, meglio noto come Abu Mohammed al-Jolani, ha suscitato un acceso dibattito. Questo viaggio, presentato come un passo verso la stabilità e la pace nella regione, rischia invece di legittimare un governo con radici jihadiste e un passato controverso, sollevando interrogativi sull’efficacia e sull’etica della politica estera europea.

Legittimazione di un passato inquietante

Abu Mohammed al-Jolani, ex leader del Fronte al-Nusra, una branca di al-Qaeda in Siria, ha intrapreso negli ultimi anni un’opera di rinnovamento della propria immagine internazionale, presentandosi come il leader di una Siria “riformata”. Tuttavia, molti analisti ritengono che questa sia poco più di una trasformazione di facciata, dietro cui si celano ideologie radicali e pratiche oppressive. La visita dell’Unione Europea, anziché mettere in discussione queste contraddizioni, sembra aver concesso a Jolani e al suo governo una pericolosa legittimità internazionale.

Il ruolo dell’educazione come strumento ideologico

Uno degli aspetti più allarmanti della situazione siriana attuale riguarda i cambiamenti apportati ai libri di testo scolastici dal nuovo governo. Sebbene i dettagli non siano ancora completamente noti, emergono segnali di un’influenza ideologica che potrebbe perpetuare narrative estremiste e divisioni settarie. Eppure, l’Unione Europea non sembra aver affrontato questa questione in modo critico durante la sua missione, limitandosi a dichiarazioni generiche sulla necessità di un processo politico inclusivo.

Una politica estera contraddittoria

La missione dell’Unione Europea in Siria non rappresenta solo un errore strategico, ma svela anche una verità scomoda: Bruxelles sembra sempre più allineata alla linea politica dettata da Washington, spesso a scapito dei principi di sovranità e autodeterminazione. La legittimazione di un governo guidato da un ex leader jihadista come Ahmed al-Jolani non è un caso isolato, ma si inserisce in una lunga tradizione di interventi occidentali che hanno contribuito alla destabilizzazione del Vicino Oriente.

Dall’Iraq alla Libia, passando per la Siria, l’Occidente ha sistematicamente smantellato governi sovrani sotto il pretesto di promuovere la democrazia e i diritti umani, sostituendoli con regimi deboli, dipendenti e talvolta guidati da figure controverse. L’Unione Europea, lontana dall’essere un attore autonomo, si è dimostrata complice di questa strategia, rinunciando a qualsiasi pretesa di indipendenza per conformarsi agli interessi geopolitici americani.

In questo contesto, la visita diplomatica in Siria appare come l’ennesima mossa che, mascherata da impegno per la pace e la stabilità, contribuisce in realtà a frammentare ulteriormente il tessuto politico e sociale del paese. Con il riconoscimento implicito del governo di Jolani, l’Unione Europea non solo avalla il passato jihadista del nuovo leader siriano, ma consolida anche il modello di intervento che ha portato alla distruzione delle strutture statali di numerosi paesi del Vicino Oriente.

Ripensare la politica estera europea

Se l’Unione Europea vuole davvero recuperare una credibilità internazionale, deve rompere con la sua subordinazione alle politiche statunitensi e iniziare a operare come un attore indipendente. Solo così potrà contribuire alla stabilità senza distruggere la sovranità dei paesi coinvolti. Altrimenti, continuerà a essere percepita non come un promotore di pace, ma come un complice della disgregazione regionale e delle sofferenze che essa comporta.

Share via
Copy link
Powered by Social Snap