di VirginiaLjuba Colajanni

Il 16 Novembre del 1888, sotto il sole di Bari, nasce Wanda Bruschi Gorjux. Ricordata più comunemente come Donna Wanda, si inquadra rapidamente tra le figure di spicco che hanno animato il panorama del fascismo femminile, divenendo un punto di riferimento per la sua città e per tutte le donne d’Italia.

Laureata con una tesi su Giambattista Vico, grande cultrice di filosofia, storia, politica, arte e spettacolo, sotto diversi pseudonimi, di cui si ricorda perlopiù quello di Medusa, Wanda comincia a scrivere a più riprese su diversi periodici femminili trattando, grazie alla sua vastissima cultura, gli argomenti più disparati. Assieme al marito Raffaele Gorjux, che vi ottiene un incarico, comincia a scrivere presso “Il Corriere delle Puglie” di Martino Cassano, dove pubblicherà in prima pagina un fortissimo scritto su Gioacchino Murat. L’articolo segnerà ben presto l’inizio della sua carriera giornalistica rendendola il fiore all’occhiello non solo del giornalismo femminile, ma di quello nazionale.

Diventerà fiduciaria dei fasci femminili, delegata regionale per l’Opera Maternità e Infanzia, attivista fervente in ambito sia sociale che politico. Molte le sue lotte per l’evoluzione e la formazione della donna fascista, della quale la sua visione fu a dir poco rivoluzionaria. L’opera della donna all’interno dell’istituzione è “Missione”. Le vecchie concezioni per cui le attività che portano fuori casa la donna, pure poco tempo, fossero contrarie alle abitudine e all’onore della famiglia, vengono spazzate via da nuove vedute. La donna fascista è ‹donna sociale e cittadina che vive nei Fasci femminili, sempre e dovunque presente ed attiva nello Stato››. Sosterrà attivamente la corrente di pensiero per la quale la giovane italiana debba accedere ad un’educazione militare che la renda parte attiva di una nazione militarizzata. Denuncerà l’inadeguatezza e il ritardo delle scuole professionali nell’evolversi del mercato del lavoro proponendo una formazione delle donne all’accoglienza dei turisti o per un allevamento scientifico degli animali da cortile, un ’educazione professionale femminile oltre all’economia domestica che deve avvalersi di insegnamenti legati al territorio, come in questo caso ad una scuola alberghiera o agraria.

La sua campagna editoriale dona nuova consapevolezza alla donna del suo ruolo familiare e valorizza il suo impegno verso i figli, dei quali deve essere «prima educatrice». Lotta per le donne e con le donne, affinché imparino a farsi valere in ambito sociale e si scaglia contro la cultura misogina e maschilista. Una grande stoccata storica alle femministe del nostro tempo le quali da sempre accusano, senza sapere, che le battaglie fasciste erano già andate oltre.

Ebbe a dire: «Siamo ancora in tempo a farlo ma non con i soliti luoghi comuni o con le vecchie frasi ma con i fatti e le opere nuove, dando alla donna la coscienza dei suoi doveri, la capacità di discernimento. E’ colpa del padre – bisogna che gli uomini siano padri di famiglia più che facitori di figli – della sua mente gretta, della sua passività o del suo disinteresse… C’è tutta una mentalità mascolina da creare in proposito. Bisogna cioè che gli uomini smettano di guardare le donne come rivali nel lavoro.» E ancora… «la condizione della donna nel lavoro, nella società e nella famiglia è un problema universale dal lato morale, etico e psicologico»

Nel 1931 con il suo impegno quale delegata regionale nell’Opera Maternità e Infanzia, si guadagna una medaglia d’oro, ma la misera condizione sociale della maggioranza delle donne rimane il suo cruccio: «Bisogna educarle, se possono fare a meno del lavoro fuori casa ne fanno a meno: se hanno una piccola dote, se trovano un po’ di marito – non si rida di quel po’ perché qualche volta è proprio tale – si accontenta della vita casalinga, della famigliola, della casetta anche povera, del pane scarso purché sicuro, ma ciò non significa che bisogna limitarne la sua educazione».

Le sue battaglie non si fermano alla condizione della donna. Fin dal 1926, come nella sua rubrica di cronaca cittadina ‘Considerazioni’, Donna Wanda non ammette sconti, criticando fortemente gli amministratori di turno «possibile che non riesce a vedere in quali condizioni di abbandono e miseria versano gli abitanti delle periferie e del vecchio borgo?» e attaccando colore che, pur aderendo al fascsmo, erano rimasti fedeli al metodo della raccomandazione: «è ora di smetterla, bisogna premiare il merito e le capacità!»

Si scaglia contro l’analfabetismo, contro l’incuria dilagante in alcune zone della città, contro i servizi igienici scarseggianti.
«Una vera e propria piaga sociale» scrive Donna Wanda rigurardo l’analfabetismo «ma il problema è anche edile, specie nelle scuole elementari. Quale educazione volete si compia quando negli edifici scolastici si effettuano due o perfino tre turni di lezioni con classi di 60 alunni in locali senza refettorio, senza cucine, senza palestre senza cortili o giardini? Si insegna a leggere, scrivere e far di conto, poi basta…enunciare è definire un problema; definirlo è risolverlo». Poi ancora, in tema di edilizia cittadina denuncia imprenditori privati ed amministratori pubblici quando segnala lo stato in cui è ridotto il centro murattiano «molti edifici sono fatiscenti e poi internamente, le case! Sono case? Sono case perché vi abita. Le condizioni di estrema povertà nelle quali vivevano le popolazioni pugliesi durante la guerra. Ma l’aria, la luce, i servizi igienici, le cucine, sono quali debbono essere, quali richiede la nostra civiltà e la nostra premura per la salute pubblica? Il ‘centro’ della città risponde più a questa prerogativa, oppure, ormai la ricchezza, la bellezza, la grazia, l’intelligenza cercano le loro abitazioni lontani dal centro che non offre più alcuna comodità né interiore né esteriore?».

Donna Wanda è intoccabile all’interno della comunità fascsta, fiore all’occhiello della voce femminile, fervida nazionalista, donna di denuncia sociale e critica laddove se ne necessita. Le sue parole, sempre giuste ad azzeccate non tarderanno ad arrivare nemmeno quando la seconda guerra mondiale giungerà al suo apice più critico per la nostra nazione: «Non è la prima volta in questa guerra in cui sono in lotta tra il vecchio e il nuovo, il passato e l’avvenire, la libertà e la schiavitù. Ci fu il momento dell’entusiasmo facile e tutti furono fascisti. E ostentavano il distintivo. Ci fu il momento difficile e molti distintivi scomparvero.»

Il 6 giugno 1943 un infarto fulminante stronca la vita di Raffaele Gorjux, marito di Donna Wanda che firma il suo ultimo editoriale il 3 luglio. La sua penna si esaurisce e le sue parole restano memoria storica di questo paese. Nel 1945 processata dalla Commissione di epurazione, è condannata a due anni di confino da scontare ad Agropoli, un paese della Campania. Sconterà solo otto mesi. Donna Wanda si spegnerà a Bari il 29 giugno 1976.

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