di Gloria Callarelli

L’esposizione “Gratia Plena”, ospitata nella chiesa di Carpi, ha sollevato un acceso dibattito tra la cosiddetta espressione artistica e il rispetto del sacro. Al centro delle polemiche un’opera ritenuta offensiva dai fedeli, e dai loro rappresentanti legali, che denunciano la profanazione di simboli religiosi in un luogo consacrato. L’Avvocato Francesco Minutillo, legale dei fedeli che hanno presentato l’esposto, espone il suo punto di vista sulla vicenda, analizzando i profili legali e il contesto culturale della mostra in un’intervista integrale ed esclusiva che approfondisce i motivi del dissenso e le attese per l’udienza del prossimo 20 gennaio al Tribunale di Modena.

  1. La mostra ‘Gratia Plena’ secondo i suoi assistiti è una mostra blasfema: perché? Quanti sono i contenuti ritenuti blasfemi?
    • I miei assistiti ritengono che la mostra sia blasfema perché alcuni contenuti esposti risultano offensivi per la sensibilità religiosa cattolica, distorcendo e svilendo i simboli sacri.
      Abbiamo ritenuto che il contenuto di maggior spregio e offensività sia l’opera denominata *Longino*, nella quale il Cristo, deposto dalla Croce, viene rappresentato in una condizione di intimità sessuale con il soldato omonimo. L’immagine raffigura la testa di quest’ultimo collocata in corrispondenza dell’inguine di Nostro Signore, un’immagine che, da sola, sarebbe già sufficiente a integrare l’ipotesi di blasfemia.
      Ciò che rende questa rappresentazione ancora più offensiva è il contesto: la grande tela è stata collocata all’interno della chiesa di Carpi, un luogo consacrato, per di più proprio di fronte all’altare maggiore. Questo significa che l’opera è stata posizionata sotto il crocifisso, di fronte al quale si prega e si celebra il sacrificio eucaristico. Questa collocazione, in uno spazio sacro dedicato alla preghiera, amplifica ulteriormente il senso di oltraggio e di profanazione. Complessivamente, sono stati individuati almeno cinque contenuti ritenuti blasfemi, ma l’opera *Longino* rappresenta senza dubbio l’elemento più grave.
  2. Per la Procura si trattò solo di arte, voi invece come la definireste? Cosa dicono i fedeli?
    • Quella andata in scena a Carpi non può essere definita arte nel senso più alto del termine. Se vogliamo concedere un minimo di attenuante all’artista, potremmo dire che è stata proprio la scelta di collocare quelle immagini dissacranti all’interno di un luogo consacrato a trasformarle in un atto deliberatamente provocatorio.
      Esiste una differenza sostanziale tra esporre simili opere in una chiesa e farlo, ad esempio, in un capannone industriale: nel primo caso si infrange deliberatamente il rispetto dovuto al sacro, nel secondo si rimane in una dimensione neutrale.
      Lo stesso principio vale per le parole: non tutto ciò che può essere detto in piazza può essere pronunciato in una chiesa. Qui, però, non si tratta solo di esercitare una forma di espressione artistica: il contesto scelto, un luogo consacrato, ha di per sé conferito alle opere un carattere dissacrante, trasformando l’intera mostra in un’offesa simbolica alla fede. I fedeli, di fronte a questo, non possono che sentirsi profondamente feriti e traditi.

  3. Quali sono le responsabilità dell’arcivescovo?
    • Sarà compito del Tribunale valutare i profili di responsabilità. Tuttavia, è evidente che la posizione dell’arcivescovo comporti una responsabilità intrinseca al suo ruolo. Non si può pensare che fosse all’oscuro del fatto che a Carpi si stesse allestendo una mostra, né che ignorasse i contenuti delle opere dell’artista Saltini.
      Anche concedendo il beneficio del dubbio sulla sua eventuale inconsapevolezza iniziale, ogni incertezza è stata dissipata dal comportamento della Curia nei giorni successivi all’apertura della mostra.
      La Curia, infatti, non solo ha difeso con fermezza l’artista, ma lo ha fatto con un atteggiamento apertamente sprezzante nei confronti dei fedeli che hanno osato manifestare il proprio dissenso. In particolare la frase *“La malizia è nell’occhio di chi guarda”* è stata percepita come una vera e propria offesa: un tentativo di far ricadere la colpa su chi, con sconcerto e dolore, si trovava di fronte a un’opera posizionata davanti all’altare maggiore, e non su chi aveva deciso di collocare quell’opera in un luogo sacro.
      Questa risposta non solo mancò di rispetto verso la sensibilità dei fedeli, ma tradì una totale mancanza di comprensione del ruolo pastorale e del dovere di tutelare la sacralità della chiesa. È proprio questo atteggiamento che rende particolarmente grave e insostenibile la posizione dell’arcivescovo in questa vicenda.

  4. Per quale motivo secondo lei è stato permesso l’allestimento proprio in una Chiesa?
    • Si potrebbe pensare che si sia trattato di estrema superficialità da parte degli organizzatori, ma in realtà la questione è più complessa. Tra gli organizzatori vi erano anche sacerdoti e, soprattutto, c’è stato l’avallo generale della Curia.
      Questo mette in luce un problema ben più profondo: la crisi della Chiesa Cattolica, iniziata con il Concilio Vaticano II. Fu in quel momento che il modernismo, ispirato da ideologie di matrice filo-massonica, penetrò nella Chiesa e iniziò un’opera di desacralizzazione. 
      Le conseguenze di questa crisi sono state devastanti: si è voluto abbandonare la Messa di sempre, il latino e la liturgia che esaltavano il sacrificio di Cristo, trasformando il rito sacro in una semplice “mensa eucaristica”, dove il sacrificio diventa marginale, persino fastidioso.
      Si è dimenticato l’essenziale: la regalità di Cristo sul mondo. Da questa crisi iniziale discendono molti degli aspetti che oggi osserviamo. Non mi riferisco soltanto a certe affermazioni di sacerdoti “progressisti” che parlano di sacerdozio femminile o di comunione aperta a protestanti, eretici e infedeli. Mi riferisco a una concezione profondamente errata della fede stessa, ridotta a una mera opinione politica o a un impegno sociale.
      Questa deriva ha generato immagini simboliche che hanno segnato ferite profonde nella vita della Chiesa: penso, ad esempio, a Giovanni Paolo II ad D’Assisi messo sullo stesso piano degli esponenti di tutte le altre false religioni, come se egli non fosse il Vicario di Cristo. Gesto che ha consolidato questa visione terrena e relativista della fede. È da questa crisi di identità e di missione che derivano episodi come quello di Carpi: un luogo sacro, consacrato al sacrificio eucaristico, trasformato in uno spazio per un’esposizione dissacrante. Non è una questione di superficialità: è il sintomo di un problema molto più grande. Del resto basta assistere ad una qualsiasi messa modernista per essere costretti ad osservare balli, bonghi e tamburi. Molto teatro e poca Fede.

  5. Cosa vi aspettate da gennaio?
    • Poche ore dopo che i fedeli avevano depositato l’esposto per vilipendio, la Procura della Repubblica di Modena ha rapidamente notificato e depositato una richiesta di archiviazione, rilevando l’infondatezza dell’ipotesi di reato senza alcun approfondimento investigativo.
      È parsa una decisione presa in modo quasi automatico, come un riflesso pavloviano di fronte a una richiesta di tutela che riguardava Nostro Signore. Noi, tuttavia, non ci siamo fermati: abbiamo prodotto numerosi documenti e allegato anche la registrazione di una visita guidata alla mostra, registrazione che dimostra come certe opere fossero presentate con toni ambigui, se non addirittura provocatori.
      Abbiamo proposto al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) una serie di approfondimenti che riteniamo essenziali per valutare pienamente l’applicabilità del reato di vilipendio, chiarendo i contorni di un comportamento che riteniamo lesivo della fede e del sacro.
      Non so quale sarà l’esito del giudizio terreno, affidato com’è agli uomini e a leggi che non riflettono più uno Stato confessionale. Tuttavia, confido che il GIP di Modena prenda seriamente in considerazione le nostre argomentazioni. 
      Se dovessimo arrivare a un processo, sarebbe un evento clamoroso: non si è mai visto un arcivescovo indagato per vilipendio della religione che dovrebbe proteggere quale pastore. Sarebbe un caso senza precedenti, che aprirebbe riflessioni profonde su ciò che significa tutelare il sacro in una società moderna. Se, invece, la giustizia terrena decidesse di fermarsi, continueremo comunque a confidare nella giustizia divina, che non conosce compromessi.
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