di Christian Baldelli
La controversa sentenza della Corte Costituzionale rumena, che ha deciso di annullare l’esito del primo turno delle elezioni nazionali, ha spinto migliaia di cittadini a scendere in piazza per protestare legittimamente contro una decisione percepita come profondamente antidemocratica.
Il 12 gennaio, la capitale Bucarest è stata teatro di un imponente corteo, pieno di tricolori, che ha attraversato le vie del centro fino a raggiungere la sede della Corte Costituzionale. L’obiettivo: contestare l’annullamento delle votazioni del 24 novembre, che avevano visto la vittoria del candidato indipendente Calin Georgescu. Quest’ultimo, noto per le sue posizioni nazionaliste, filorusse, anti-NATO e anti-UE, ha suscitato controversie e tensioni, soprattutto considerando che la sentenza della Corte è arrivata a meno di due giorni dal ballottaggio. Il motivo ufficiale dell’annullamento sarebbe stata la presunta intromissione russa nella campagna elettorale di Georgescu.
Non mi soffermerò troppo sulla questione elettorale in sé, poiché ritengo che la situazione si commenti da sola: quando l’esito delle elezioni è gradito ai “padroni del vapore”, tutto fila liscio e si esulta per la democrazia; in caso contrario, si grida immediatamente alle “ingerenze straniere”.
Vorrei invece richiamare l’attenzione sulle parole dell’ex Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton: “Applichiamo le nostre leggi in Europa quando c’è il rischio che vengano aggirate. Lo abbiamo fatto in Romania e, se necessario, lo faremo anche in Germania.” Nel frattempo, la guida del Paese è affidata al presidente uscente Klaus Iohannis, del Partito Nazionale Liberale, nonostante il suo mandato sia già scaduto.
In questo quadro desolante, il popolo rumeno ha saputo lanciare un segnale forte di giustizia. Non si tratta solo della libertà del voto, un principio che va comunque rispettato, ma della più profonda autodeterminazione di una patria e di una coscienza collettiva popolare. È proprio questo che spaventa l’impero del capitale moderno. Il messaggio è chiaro: “A casa nostra decidiamo noi.” Un principio tanto semplice quanto incisivo.
A dimostrarlo è anche il fatto che, pur non essendo storicamente in sintonia con la Russia, il popolo rumeno si oppone fermamente all’idea di una terza guerra mondiale che vedrebbe il proprio Paese come uno dei bersagli principali in Europa dell’Est, data la sua vicinanza geografica all’Ucraina.
Dopo tutto ciò che abbiamo visto e analizzato, chiunque dotato di un minimo di raziocinio non può ignorare le enormi contraddizioni di questa vicenda. Per concludere con una nota ironica, rivolgo un pensiero a Thierry Breton, parafrasando Kent Brockman: “L’ho già detto e lo ripeto ancora una volta: la democrazia semplicemente non funziona.”
Il Deep State statunitense, dopo le ultime elezioni, ha perso in patria il controllo degli organi rappresentativi (Presidente, Governo e Parlamento), ma mantiene ancora una salda presa sulla NATO e su quasi tutti gli Stati membri dell’UE (tranne l’Ungheria e la Slovacchia). Secondo i piani dello “stato profondo”, con il defilarsi degli Stati Uniti dal conflitto russo-NATO-ucraino annunciato da Trump, a surrogarne la partecipazione economica e militare dovrebbero essere i Paesi europei (che così finirebbero di affossarsi ancor più rapidamente di quanto già stanno facendo) e, tra questi, le prime vittime sacrificali in un eventuale scontro diretto con la Russia, dopo la caduta dell’Ucraina, sarebbero la Romania, la Polonia e i latranti cagnolini baltici.
Questo spiega la reale motivazione (quella ufficiale è così ridicola che non merita nemmeno di essere presa in considerazione) dell’annullamento delle votazioni tenutesi in Romania: i poteri europeisti e atlantisti, anche a costo di buttare via la maschera della democrazia che ha sempre celato il loro vero volto, non possono assolutamente permettere che venga eletto Presidente, in un Paese con un’importantissima base NATO e in prima linea contro la Russia, un politico euroscettico, critico verso Patto Atlantico e non disposto a lasciar distruggere il proprio Paese.
Vedremo come e quanto i patrioti romeni reagiranno a questo incredibile sopruso. Se la loro protesta avrà successo, così come, nel 1989, proprio in Romania la caduta del regime di Ceausescu anticipò la caduta del Muro di Berlino, speriamo che, nel 2025, dalla Romania possa partire un salutare movimento di liberazione dei popoli del Vecchio Continente.