di Luigi Cortese

La serie televisiva M – Il figlio del secolo, ispirata al romanzo di Antonio Scurati, doveva rappresentare un’operazione ambiziosa: riportare in vita uno dei periodi più “controversi” della storia italiana attraverso una narrazione potente e accurata. Eppure, il risultato finale appare, per molti aspetti, una delusione che non rende giustizia né alla complessità storica del fascismo né alla figura di Benito Mussolini.

Un Mussolini macchiettistico
Le critiche di Marco Travaglio non sono solo condivisibili, ma forse addirittura troppo indulgenti. Quando Travaglio definisce la serie “una macchietta di Mussolini e del fascismo”, descrive perfettamente la sensazione di vuoto che pervade ogni fotogramma. La serie non riesce mai ad andare oltre una lettura semplicistica della storia: Mussolini, interpretato da Luca Marinelli, non è né il geniale demagogo né il calcolatore che conosciamo dai libri di storia. È una figura sbiadita, quasi comica, che sembra uscita da una parodia mal riuscita.
Non si tratta di un’operazione di “umanizzazione” della figura di Mussolini, ma di una vera e propria banalizzazione che sminuisce la portata del fascismo come fenomeno storico e sociale. Come osservato dallo storico Giordano Bruno Guerri, la serie si limita a proporre un giudizio morale semplicistico, senza offrire strumenti per comprendere davvero l’ascesa del regime.

Le lamentele dell’attore protagonista
A rendere tutto ancora più grottesco sono le dichiarazioni di Luca Marinelli, il quale ha affermato di aver sofferto enormemente nell’interpretare il ruolo di Mussolini. Certo, recitare un personaggio del genere richiede un impegno emotivo e intellettuale notevole, ma questa “sofferenza” pubblica appare più come una mossa promozionale che una reale riflessione artistica. Vittorio Feltri, con la sua proverbiale franchezza, ha ironizzato: “Un attore deve recitare, punto. Interpretare Mussolini o un angelo non cambia: il mestiere è farlo bene”.
Eppure, guardando la performance di Marinelli, sorge il dubbio che questa sofferenza non si sia tradotta in una recitazione memorabile. Il suo Mussolini non è né spaventoso né magnetico, ma semplicemente piatto, incapace di trasmettere quella combinazione di carisma e determinazione che ha segnato il Duce nella realtà.

Un’occasione mancata
M – Il figlio del secolo è una serie tecnicamente ben fatta: la ricostruzione degli ambienti, i costumi e la fotografia sono di altissimo livello. Ma tutto questo non basta quando il cuore narrativo è debole. La scelta di trattare Mussolini e il fascismo come un semplice “male assoluto” senza esplorarne le dinamiche interne e il contesto storico impoverisce il racconto, rendendolo quasi didascalico.
Il rischio di operazioni del genere è duplice: da un lato, si alienano gli spettatori più critici e attenti; dall’altro, si alimenta una visione superficiale della storia.

La storia merita rispetto, ma soprattutto attenzione e profondità. Invece di scavare nei meandri del fascismo, la serie si limita a condannarlo in modo sterile, quasi fosse un compito scolastico. È un peccato, perché le premesse per un prodotto di grande impatto c’erano tutte. Eppure, alla fine, M – Il figlio del secolo non lascia il segno.
Non scuote, non provoca riflessioni profonde, non inquieta. Si limita a raccontare una storia che sa di già visto, senza rischiare né osare. Alla fine, M – Il figlio del secolo sembra dimenticare che la storia, scritta dai vincitori, va sempre riletta con occhio critico e senza semplificazioni: altrimenti si rischia di trasformarla in un copione vuoto, dove la complessità e le lezioni del passato vengono sacrificate in nome dello spettacolo.

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