Dramma sommerso in un calzificio abusivo della provincia di Brescia, dove la polizia locale ha scoperto una giovane donna, ora maggiorenne, che per 17 anni è vissuta come un fantasma. Nata in Italia da genitori cinesi, non ha mai frequentato la scuola, né ha avuto accesso al sistema sanitario, crescendo nell’ombra, priva di qualsiasi diritto o prospettiva. Una vicenda che, oltre a indignare, pone interrogativi profondi sul fallimento delle politiche migratorie e sul sistema di gestione dell’immigrazione nel nostro Paese.
La storia di questa ragazza non è solo una tragica eccezione, ma il sintomo di un problema più ampio. Come è possibile che una bambina nata e registrata in Italia sia rimasta invisibile per quasi due decenni? La risposta sta in un sistema che spesso chiude un occhio sulle realtà parallele che prosperano nell’illegalità. La madre, abbandonata dal compagno, ha trascinato la figlia per anni da un calzificio abusivo all’altro, senza che nessuno intervenisse. Non stiamo parlando di un evento isolato: secondo gli inquirenti, ci sono altre vite nascoste nei seminterrati dove si lavora senza sosta, schiacciati da una realtà che ignora diritti fondamentali.
Questo caso dimostra che l’immigrazione non regolamentata non solo alimenta il lavoro nero, ma crea sacche di invisibilità dove lo sfruttamento è la norma. Il sistema italiano, già sovraccarico, è incapace di prevenire o gestire situazioni simili. Ogni anno migliaia di immigrati entrano nel nostro Paese senza alcun controllo effettivo, sfuggendo alle leggi e spesso creando realtà parallele che sfidano l’ordine e la legalità. La presenza di calzifici clandestini, come quello scoperto, è solo la punta dell’iceberg di un’economia sommersa che prospera grazie alla mancanza di un monitoraggio serio e costante.
Le istituzioni italiane non possono più permettersi di ignorare queste situazioni. Da un lato, serve un sistema di controlli più rigoroso per individuare e smantellare le attività illegali. Dall’altro, è necessario affrontare il fenomeno migratorio con politiche che privilegino l’integrazione reale, anziché lasciare che intere comunità si ghettizzino in un limbo di illegalità. È inaccettabile che una madre possa vivere per anni tra il Veneto e la Lombardia sfruttando calzifici abusivi senza che nessuno se ne accorga.
Questa ragazza avrebbe potuto crescere, andare a scuola, costruirsi un futuro. Invece, è stata privata della sua infanzia e ora si ritrova con un destino incerto, affidato alle decisioni della Questura e, forse, del Tar. La sua storia è il simbolo di un sistema che non funziona, incapace di proteggere chi nasce sul suolo italiano e di garantire il rispetto delle regole.
L’immigrazione incontrollata e il lassismo delle istituzioni stanno trasformando l’Italia in un terreno fertile per l’illegalità e lo sfruttamento. Per evitare che storie come questa continuino a emergere, è urgente un cambio di rotta: più controlli, più responsabilità e meno ipocrisie. Non possiamo permettere che il nostro Paese diventi il rifugio di chi alimenta il lavoro nero e lo sfruttamento a scapito dei più deboli.
La nostra classe dirigente (non solo politici, ma anche imprenditori, sindacalisti, intellettuali ecc.) fa da almeno tre decenni un ragionamento di una banalità disarmante: l’Italia è il Paese europeo che ha il più basso tasso di natalità e, dopo il Giappone, ha il triste primato di avere la popolazione più anziana al mondo; questo comporta un serio problema di carenza di forza lavoro; dunque, per far fronte al tracollo demografico e colmare i vuoti occupazionali, apriamo le porte a un’immigrazione sempre più rapida e massiccia. A quanto pare, per l’élite allargata che ci governa non ha alcuna importanza chi sono gli abitanti di un Paese, purché la cifra totale della popolazione, al saldo delle uscite (i morti e gli emigrati) e delle entrate (i nuovi nati e gli immigrati), rimanga stabile. In un’ottica meramente quantitativa il discorso non fa una piega: sessanta milioni sono sempre sessanta milioni; che siano cinquanta milioni d’italiani e dieci milioni di stranieri, o dieci milioni d’italiani e cinquanta milioni di stranieri, non fa differenza. L’identità, la storia, la tradizione, la civiltà, la religione, tutto ciò non conta nulla, anzi, è peggio che irrilevante: è zavorra, un ostacolo sulla via della globalizzazione e pertanto un disvalore, qualcosa di cui è bene che scompaia anche il ricordo. Lorsignori sognano un’Italia in cui chi ci abita non senta alcun legame profondo di appartenenza; sognano un’Europa dove le razze, le fedi e le tradizioni si sovrappongono, si confondono, si scontrano, e dove, soprattutto, la miseria sia tale da spingere le persone (bianchi, neri o gialli) ad accettare qualsiasi lavoro, per qualsiasi salario, per qualsiasi orario, fosse anche nelle condizioni igieniche più disastrose e umilianti. E’ il capitalismo, bellezza! Chi ideologicamente aderisce a un sistema il cui postulato è che una società possa funzionare associando degli individui legati unicamente dal contratto giuridico e dallo scambio commerciale, non ha nessun diritto di lamentarsi per quelle che percepisce come disfunzioni, ma che altro non sono che gli inevitabili effetti della logica materialista dell’interesse e del profitto.
P.s.: se una donna, cinese o italiana che sia, abbandonata dal compagno, con una bambina piccola e in gravi difficoltà economiche si rivolge ai servizi sociali del comune di residenza per ricevere un aiuto, non viene aiutata a trovare un lavoro decente per vivere dignitosamente con la sua bambina… LE VIENE TOLTA LA FIGLIA!