di Nicolò Donatini

La questione immigrazione non si può più ignorare: tra immigrati di seconda generazione che mandano a quel paese l’Italia, criminalità, degrado e Niqab in classe (su cui la sinistra ci marcia dando la colpa al governo), oramai è il problema più imminente per il nostro popolo. In questo articolo si cercherà di sottolineare l’importanza dell’unica soluzione coerente e produttiva per risolvere questo problema: il blocco degli arrivi e l’umano rimpatrio.

Che si voglia chiamare “remigrazione”, termine che però non ci piace e il perché lo ha spiegato bene anche Nick Griffin, (termine del resto oramai utilizzato anche dalla destra istituzionale), non cambia la sostanza. Cambia il fatto che di questo provvedimento, concettualmente meglio definito come umano rimpatrio, se ne fosse parlato già dagli anni Novanta in alcuni ambienti antisistema e poi un po’ da tutti, appunto modificato nei termini, dall’inizio degli anni Duemila. Provvedimento che nessuno aveva realmente preso in considerazione fino a ieri.

Il “rimpatrio” sarebbe la creazione di percorsi che facilitino il ritorno di immigrati irregolari (alcune teorie  preferirebbero considerare interi nuclei familiari) ai Paesi d’origine. Per almeno 25 anni si è preferito puntare sulla fantomatica regolarizzazione dei flussi, in ossequo alle lobby, che in concreto non ha risolto nulla se non il tergiversare su una questione che ora è più annosa che mai. Colpa anche della destra anglo-sionista nascosta nella trappola UE. Oggi questi discorsi, dicevamo, non bastano più ed è necessario ragionare in termini di blocchi delle partenze, come si diceva profeticamente proposti da movimenti antisistema di estrema destra già nel lontano 1997, smantellamento delle varie ONG finanziate per milioni di euro e umani rimpatrii. Oltre a risolvere le problematiche di capitale sociale (sicurezza, cultura, comunità) che l’immigrazione di massa comporta, subite ormai dalla maggioranza degli europei proletari o medi-imprenditori, il blocco e il rimpatrio sono gli unici modi per salvaguardare il welfare del Paese ospitante e la forza lavoro del paese d’origine.

I dati oramai emergono: l’immigrazione di massa non è una risorsa economica, anzi tutto il contrario. La narrazione progressista secondo la quale gli immigrati ci pagheranno le pensioni è inverosimile, ed anche fosse vera, ignora totalmente i problemi culturali e sociali che l’immigrazionismo comporta. L’immigrazione va contro i lavoratori, abbassa i salari, favorisce lo sfruttamento capitalista e demolisce il quieto vivere degli Europei, almeno di quelli che non hanno abbastanza soldi per permettersi la casetta in ZTL. Inoltre non ci salverà dalla povertà mondiale, oltre che essere davanti agli occhi di tutti, non ci sono i minimi presupposti che ciò avvenga, anche se fossero immigrati legali.

Più di un terzo della popolazione mondiale non riesce a guadagnare più di 2$ al mese, e più della metà nemmeno 12$, e se si pensa che facendone entrare 1.000.000 al mese in Europa si aiuti queste persone ed i loro paesi ci si sbaglia. Anche se dovessimo raddoppiarne il numero, con conseguenze disastrose sul nostro continente, non ci sarebbero grandi differenze, dato che questi Paesi hanno un tasso di natalità 8 volte superiore al numero di persone che emigrano all’anno. Nessuno si rende conto, o vuole rendersi conto, inoltre, che questi 2 milioni di persone potrebbero effettivamente migliorare le condizioni dei loro Paesi, contribuire al loro sviluppo economico, sociale, e umano.

Occorre inoltre sottolineare quanto sia determinante in un’analisi coerente in termini di rimpatrio non ripetere gli stessi errori del passato, ovvero favorire l’ultra-immigrazionismo degli ultimi 25 anni. L’Europa, ma non solo, qualsiasi continente, deve puntare sempre di più alla creazione di ambienti economici, politici e sociali che disincentivino l’immigrazione (per quanto riguarda l’Africa ed il Medio Oriente vale a dire liberarsi e difendersi dal giogo delle varie ONG e Stati fantoccio finanziati dal regime anglo-sionista). Questa posizione non è solamente sostenuta da chi possiede ancora un barlume di riguardo per i popoli, ma da chi si preoccupa della Patria in generale: un esempio? Il cardinale guineano Robert Sarah, fermamente opposto all’emigrazione dei giovani africani, criticando anche il regime liberal-capitalista macchiatosi di apostasia. Abbandonare il proprio Paese è condannare la propria Patria, offuscare, ed in ultima istanza, perdere le proprie radici. E chi favoreggia l’immigrazionismo di massa si sta inserendo in una dicotomia dove è la cultura nazionale ed europea a morire, o è la cultura allogena ad essere assimilata, spesso malamente e con conseguenze problematiche per lo straniero.

Nick Griffin, fondatore del British National Party, è stato uno dei pochi che nei primi anni 2000 si prese la birga di difendere il concetto di Patria, Cultura, Tradizione (non solo quella europea come sottolineato sopra). Ma dopo pressioni da parte delle entità anglo-sioniste, le quali puntavano sull’abbandono della critica economica e sul sostegno incondizionato ad Israele, il BNP sparì, sostituito dalla Destra anti-islam e a favore della favoletta dell’”integrazione” e dell’immigrazione legale. L’integrazione è morte della cultura e dello stato sociale di un Paese, il blocco degli arrivi e il rimpatrio con la salvaguardia del nostro continente sono l’unica prospettiva auspicabile. Tertium non datur.

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