di Luigi Cortese
Negli ultimi anni, la discussione sul fine vita ha assunto una dimensione centrale nel dibattito etico e politico italiano. La recente legge regionale della Toscana, presentata come strumento per garantire una “morte dignitosa“, solleva però numerosi interrogativi e timori. Dietro la retorica del rispetto della libertà individuale, si nasconde un pericolo ben più insidioso: la banalizzazione del valore della vita umana e il rischio di creare una società in cui il confine tra assistenza e abbandono diventa sempre più labile.
Un approccio meccanico alla Vita
La legge, pur avendo l’obiettivo dichiarato di offrire un’opzione dignitosa a chi soffre in maniera insopportabile, rischia di trasformare il delicato tema del fine vita in una procedura burocratica standardizzata. Tale meccanizzazione può facilmente degenerare in una trappola per i soggetti più vulnerabili: anziani, malati cronici e persone in condizioni di fragilità psico-fisica potrebbero sentirsi spinti, anche involontariamente, a scegliere la via del “fine vita” come soluzione a una condizione che la società stessa ha contribuito a creare. In questo senso, l’intervento legislativo toscano, anziché tutelare il diritto alla vita, potrebbe contribuire a renderlo precario e condizionato.
Il rischio dello Slippery Slope
Una delle critiche principali riguarda il pericoloso effetto domino (o slippery slope) che una legge del genere potrebbe innescare. Se da una parte si intende garantire la libertà individuale di decidere in situazioni di dolore insopportabile, dall’altra si apre la porta a interpretazioni sempre più ampie e soggettive di “sofferenza insopportabile”. Senza controlli adeguati e senza una vigilanza costante, il confine tra l’assistenza palliativa e l’eutanasia potrebbe diventare estremamente labile, facilitando abusi e decisioni affrettate in un contesto di pressione sociale ed economica.
Una legislazione che mette a rischio i più deboli
Il pericolo maggiore di una simile normativa è rappresentato dalla possibile strumentalizzazione nei confronti dei gruppi più vulnerabili. In un sistema sanitario dove le risorse sono spesso scarse e dove il supporto psicologico e assistenziale non è sempre garantito, il ricorso al fine vita potrebbe diventare una sorta di “soluzione di comodo” per chi, di fronte a sofferenze fisiche e psicologiche, si trova costretto a scegliere tra una vita segnata dal dolore e la possibilità di una fine accelerata. Tale scelta, invece di essere frutto di una libera e consapevole decisione, rischierebbe di essere il risultato di una logica economica e sociale che svaluta il valore intrinseco della vita umana.
L’alternativa: potenziare l’assistenza e la cura palliativa
Invece di affidarsi a misure legislative che, pur farcite di retorica di buone intenzioni, rischiano di trasformarsi in strumenti di controllo sociale, occorrerebbe investire maggiormente in cure palliative e in programmi di supporto per chi affronta malattie gravi e croniche. La dignità nel fine vita non può prescindere da un sistema sanitario che garantisca assistenza, conforto e, soprattutto, la certezza che ogni vita venga valorizzata fino all’ultimo respiro. Solo così si potrà evitare di trasformare il dolore e la sofferenza in un incentivo alla scelta della morte.
In conclusione la legge regionale della Toscana sul fine vita è un provvedimento frettoloso e inadeguato, incapace di tutelare realmente la dignità degli individui. Offre una via d’uscita semplicistica e inappropriata per chi soffre, e rischia di instaurare una logica pericolosa che mette in discussione il valore sacro della vita umana. È fondamentale aprire un dibattito pubblico serio e approfondito, che coinvolga medici, filosofi, legislatori e la società civile, per evitare che questa normativa diventi lo strumento di una deriva inumana e pericolosa.
stiamo ripercorrendo tutte le tappe già intraprese negli anni 30 del secolo scorso, adesso non si parla di vite non degne di essere vissute ma le vite che sono solo penose e dunque è meglio evitare tanto dolore.
la via dell’inferno, come sempre, è tappezzata delle migliori intenzioni.
Questo ulteriore passo forse ci avvicina all’armageddon, quella guerra che chiude il ciclo da sempre, per poi farne aprire un altro
La legge non può per sua natura regolare situazioni così drammatiche: quando si lascia una porta socchiusa, la si può facilmente aprire di più. Una volta che si permette di porre fine alla vita per un certo tipo di sofferenza, perché non lo si dovrebbe permettere per sofferenze minori? Chi stabilisce quando la sofferenza è insopportabile? Si potrebbe rispondere che a stabilirlo è il paziente. Ma la valutazione di una persona depressa è una scelta libera o è dettata dall’umore? E la decisione di un disabile o di un malato cronico di farla finita è davvero un atto di autodeterminazione – ancorché moralmente assai discutibile – o è solo il soggiacere alla mentalità imposta da un modello di società in cui domina la “produttività”, per cui se si diventa o si è ritenuti “improduttivi” la vita stessa perde senso e dignità?
A mio parere, la legge della regione Toscana sul fine vita è una spia dell’ipocrisia di chi governa quell’istituzione: solerte nel garantire la “libera scelta” di morire, ma latitante nell’assicurare un’esistenza dignitosa a chi vuole continuare a vivere.