La recente visita della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Kiev, in occasione del terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, solleva interrogativi sulla strategia dell’Unione Europea nel conflitto in corso. Nonostante l’apparente stallo sul campo di battaglia e segnali di un cambiamento nella politica statunitense sotto l’amministrazione Trump, von der Leyen ha ribadito l’impegno dell’UE a sostenere l’Ucraina, annunciando un ulteriore pacchetto di aiuti da 3,5 miliardi di euro e l’adozione del sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia.
Tuttavia, questa posizione solleva dubbi sulla realistica efficacia di proseguire una guerra che, dopo tre anni, non ha portato a una risoluzione favorevole per l’Ucraina. L’insistenza nel fornire supporto militare e finanziario potrebbe essere interpretata come un tentativo di prolungare un conflitto che appare sempre più insostenibile, sia per l’Ucraina che per l’Europa stessa.
Inoltre, l’esclusione dell’UE e dell’Ucraina dai recenti negoziati avviati dagli Stati Uniti a Riad evidenzia una marginalizzazione dell’Europa nel processo decisionale internazionale riguardante la guerra. Nonostante le richieste di von der Leyen e del presidente del Consiglio Europeo, António Costa, per un posto al tavolo delle trattative, gli Stati Uniti sembrano preferire un numero limitato di partecipanti, escludendo di fatto l’UE.
Questa situazione solleva la questione se l’UE stia perseguendo una strategia autonoma o se stia semplicemente seguendo le orme di altri attori globali, senza una chiara visione degli interessi europei. La continua escalation di sanzioni e l’incremento del supporto militare potrebbero portare a ulteriori tensioni, senza avvicinare una soluzione pacifica al conflitto.
In conclusione, mentre l’intenzione di sostenere l’Ucraina è comprensibile, è fondamentale che l’UE valuti attentamente l’efficacia e le conseguenze delle sue azioni. Proseguire su una strada che sembra portare a un conflitto prolungato potrebbe non essere nell’interesse né dell’Ucraina né dell’Europa. Una riflessione più approfondita sulla strategia da adottare appare necessaria per evitare di alimentare una guerra che molti considerano già persa.
Nell’articolo ci si domanda “se l’UE stia perseguendo una strategia autonoma o se stia semplicemente seguendo le orme di altri attori globali”, ma a mio avviso il problema non è tanto l’autonomia o l’eterodirezione di questa sovrastruttura quanto la sua conclamata dannosità e pericolosità per il nostro paese. Dannosità, perché una volta entrati nell’Unione Europea, e soprattutto nell’euro, il nostro sistema produttivo è stato disarticolato e quel che ne è rimasto è diventato il contoterzista della Germania e dei suoi vassalli nordeuropei. Pericolosità, perché ormai ci sono politici, tecnici e intellettuali organici all’europeismo che non solo vogliono la continuazione della guerra in Ucraina, ma chiedono apertamente l’ucrainizzazione dell’Europa, cioè una perdurante e intransigente politica anti-russa estesa a tutti i paesi dell’UE, la repressione delle forze politiche non ostili a Mosca, il controllo capillare dei media a fini di propaganda e censura, la sostituzione di quel che resta del welfare state con il war state e quindi la creazione di un esercito europeo da scagliare contro la Russia appena il riarmo renderà la cosa anche solo lontanamente plausibile.
In questa situazione l’obiettivo prioritario di un movimento antisistema non può che essere l’abbattimento del Moloch europeo.
Come può realizzarsi questo obiettivo?
Essenzialmente in due modi. Per implosione interna, con l’uscita dall’UE di qualche paese importante, come la Germania o l’Italia, che farebbe collassare l’intero edificio bruxellese. Ma, nonostante i diffusi malumori e le sempre più numerose proteste, non sembrano esserci ancora una volontà popolare e una forza sufficienti per compiere questo passo. Oppure per una forte pressione dall’esterno. In pratica, così come nel secolo scorso Roosevelt e Stalin riuscirono con un’azione a tenaglia a distruggere il Terzo Reich, in modo simile (magari meno cruento) Trump e Putin potrebbero ridisegnare un nuovo equilibrio internazionale sulle ceneri di questa oscena eurocrazia.