di Daniele Trabucco (foto: X)
Il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, è tornato al centro della scena politica con una strategia chiara e incisiva: proteggere gli interessi degli Stati Uniti imponendo nuovi dazi sui prodotti provenienti dall’Unione Europea.
Questa mossa, che rientra perfettamente nella sua visione di un’America forte e indipendente, dimostra ancora una volta la sua capacità di mettere in difficoltà gli avversari, evidenziando l’incapacità cronica dell’UE di reagire con decisione.
Da sempre Trump ha sostenuto che gli Stati Uniti sono stati sfruttati dalle politiche commerciali sbilanciate imposte da Bruxelles. I dazi proposti colpiscono settori strategici per l’Europa, come l’automotive, l’agroalimentare e il lusso, mandando un messaggio chiaro: il tempo dei favori è finito. La reazione dell’Unione Europea è stata prevedibilmente debole e confusa. Mentre gli Stati Uniti agiscono con pragmatismo per difendere la loro economia, Bruxelles si è limitata a dichiarazioni vaghe e a minacce inconsistenti di ritorsione, senza alcun piano concreto.
Questo dimostra ancora una volta la fragilità dell’UE, un’entità burocratica incapace di prendere decisioni rapide e di proteggere i propri interessi.
La dipendenza dell’Europa dal mercato americano è evidente, e senza l’accesso privilegiato agli USA, molte economie europee rischiano il collasso. I leader europei, invece di elaborare una risposta forte, si trovano impantanati nelle loro solite divisioni interne. La Germania teme il colpo ai suoi giganti dell’auto, la Francia cerca di proteggere il suo settore vinicolo, l’Italia è preoccupata per le sue esportazioni di lusso. Ma nessuno è in grado di proporre una soluzione concreta.
Questa frammentazione è l’ennesima dimostrazione di quanto l’Unione Europea sia inefficace quando si tratta di affrontare sfide economiche globali. Trump, invece, sa esattamente cosa vuole ottenere. La sua politica commerciale mira a riportare la produzione in America, a proteggere i lavoratori statunitensi e a costringere gli altri Paesi a negoziare accordi più equi.
La strategia dei dazi non è solo un’arma economica, ma anche un potente strumento politico che mette in crisi i Governi europei, costringendoli a confrontarsi con la loro debolezza strutturale.
Fonte: La Gazzetta dell’Emilia
La strategia di Trump è nota, infatti. Vorrebbe riportare la produzione in USA. Buoni propositi,del tutto legittimi per ogni realtà sovrana, ma impraticabile, soprattutto nel breve termine e, soprattutto, nelle modalità attuali.
Per attuare ciò, infatti, bisogna convertire gran parte dell’economia e dell’economia industriale statunitense. Una impresa del genere porterebbe stravolgimenti nella economia reale americana soprattutto nel breve termine. È impossibile che l’industria americana si autodetermini in poco tempo. È una impresa enorme. L’industria americana non potrà mai essere pronta e questo potrebbe portare in realtà inflazione e disoccupazione in USA, cioè un aggravarsi delle condizioni economiche della popolazione.
È impraticabile, nello stesso tempo, una tensione commerciale con la Cina, e soprattutto, portare l’Europa, nonostante i dazi, in uno scontro commerciale con l’Asia.
Praticamente, che piaccia o meno, quasi tutta l’economia occidentale, si basa sui rapporti commerciali con la Cina. Non ci si riferisce, ovviamente, ai cosiddetti prodotti cinesi, ma ai pilastri fondamentali dell’industria, della tecnologia, del digitale. Praticamente, tutto è ormai legato all’esistenza della Cina ed è legato ai rapporti commerciali con la Cina.
Qualsiasi tensione con la Cina, provocherebbe in automatico milioni di disoccupati in Europa con un effetto domino che porterebbe ad un cataclisma sociale ed economico. Questo accadrebbe, qualora si bloccassero all’istante tutte le relazioni commerciali ed industriali con l’Asia.
L’industria occidentale, comoresa quella statunitense, non è infatti pronta a sostituire quella cinese.
Per quanto riguarda l’Europa,in virtù della servitù al sistema d’Oltreoceano, non è capace di avere autorevolezza ed autorità al tempo stesso. Prima si è sottomessa nella attuazione della guerra e nelle sanzioni contro la Russia,in seguito subisce i dazi da parte degli stessi Stati Uniti. Si trova quindi in una situazione subalterna totale. La stessa guerra in Ucraina ha danneggiato l’economia della Germania, ma le lobbies mediatiche si guardano bene dal dirlo, pur parlando di crisi. Soltanto qualche giorno fa Bloomberg ha invece scritto un articolo sull’economia della Germania danneggiata dall’inimicizia con la Russia. I prezzi del gas sono quadruplicati e l’industria tedesca è entrata in un vortice depressivo. Il gas russo è considerato fondamentale per il buon andamento dell’economia tedesca.
In fin dei conti, proprio come si pensava da tempo, l’America è riuscita in quel famoso intento di separare l’Europa dalla Russia e la Russia dall’Europa,creando scontri fittizi ed artificiali.
Quindi, alla fine, a risultare isolata è proprio l’Europa. Ed è più isolata di Putin. Nello stesso tempo, Trump è riuscito ad ottenere, con lo scontro orchestrato di recente alla Casa Bianca, quello che avrebbe voluto dall’Europa,cioè proprio quell’aumento di spesa militare, per sopperire al vuoto lasciato dagli USA in ambito NATO. Per attuare questo, serve, in ogni caso, ed a prescindere dal dialogo particolare tra USA e Russia, sempre la creazione di un nemico a lungo termine contro l’Europa. Questo nemico rimane sempre la Russia, con il beneplacito statunitense.
Il problema verrà nei prossimi anni, quando eventuali disastri provocati dalle politiche economiche del nuovo governo USA porteranno di nuovo alla ribalta l’altra parte. E il gioco delle marionette continuerà.
Proprio per questo motivo, pur essendoci un dialogo a breve termine tra USA e Russia, che è come la neve a maggio, questa ultima farebbe bene a guardarsi dall’allontanarsi dalla cooperazione strategica e militare con la Cina, nell’ ambito dell’ascesa BRICS. Soltanto la cooperazione strategica e militare tra il Dragone e l’Orso può portare pace e stabilità al mondo.
Da almeno due settimane la stampa mainstream ripete ossessivamente che i dazi americani sulle merci europee genereranno inflazione negli Stati Uniti perché il loro importo, trasferendosi sulle aziende acquirenti e sui consumatori, farà lievitare i prezzi. Più che una previsione questo sembra un wishful thinking, un pio desiderio di soggetti impauriti dall’audace politica della nuova Amministrazione statunitense.
In teoria, se nel breve periodo è possibile che i dazi provochino un aumento dell’inflazione, che andrebbe a penalizzare le fasce più deboli del popolo americano, è invece probabile che nel medio periodo la loro applicazione, favorendo le produzioni locali e rendendo meno competitive le merci che provengono dall’estero, andrebbe a implementare un processo virtuoso di reindustrializzazione con ricadute positive sulla domanda interna, quindi sull’occupazione, sul potere d’acquisto dei salari e sul benessere generale dei cittadini.
Se gli effetti positivi a medio/lungo termine compenseranno e supereranno quelli negativi a breve, non possiamo dirlo con certezza perché l’economia – nonostante il tentativo parossistico di matematizzarla – tutto è fuorché una scienza esatta.
Quello che invece possiamo dire con certezza è che Trump ha imposto dazi più forti (25%) ai paesi dell’Unione Europea, che sono storicamente amici e alleati, e dazi meno forti (20%) alla Cina, che, se non è proprio un nemico, è comunque un concorrente. Questo significa un guadagno di competitività netto delle merci cinesi rispetto a quelle europee! Come si spiega questo paradosso? La spiegazione, a mio avviso, sta proprio nel fatto – giustamente sottolineato dal professor Trabucco a chiusura del suo articolo – che “la strategia dei dazi non è solo un’arma economica, ma anche un potente strumento politico”: in questo modo, Trump vorrebbe spingere la Cina a esercitare una forte pressione sulla Russia affinché questa accetti, in tempi brevi e a condizioni convenienti per gli USA, una pace in Ucraina.
C’è poi il problema dei conti nazionali. Gli Stati Uniti hanno una bilancia commerciale in passivo dal 1971. Da allora hanno sempre accumulato deficit e oggi si trovano un insostenibile debito, sia pubblico che privato. Molto banalmente, gli europei hanno accumulato nei confronti degli americani uno squilibrio commerciale a loro favore talmente grande da portare gli USA sull’orlo di una catastrofe finanziaria. Pertanto, la strategia protezionistica di Trump – volta a risanare i conti con l’estero attraverso la rilocalizzazione delle imprese statunitensi e gli incentivi dati a quelle straniere per produrre negli States se vogliono vendere nel mercato americano – è l’unica possibile… sempre che non si voglia continuare a seguire la strategia predatoria dei neocon, fatta di guerre e colpi di stato in giro per il mondo per riaffermare un ormai anacronistico unipolarismo.
Quanto ai paesi europei, in particolare Germania e Italia, essi dipendono dalle esportazioni verso gli USA e non hanno alcuna speranza di riorientare il proprio export altrove. Certo non verso la Cina, che gli è superiore sia sul piano del contenimento dei costi che su quello tecnologico. D’altronde, sono state proprio le classi dirigenti europee, con il loro servilismo acritico nei confronti dell’Amministrazione Biden – front office del deep state statunitense -, a cacciarci in questa situazione. Sono state le istituzioni europee, durante la cosiddetta pandemia, a drenare ricchezza dal continente europeo verso le multinazionali del farmaco americane. Sono stati i governi europei a sposare le follie “green”, a rinunciare agli accordi della Nuova Via della Seta, ad accanirsi contro la Russia imponendole autolesionistiche sanzioni, a finanziare e armare l’Ucraina, ad accettare che venisse sabotato il Nord Stream, a rifiutare il gas russo a basso prezzo per importare il costosissimo gas naturale liquefatto (GNL) americano.
Purtroppo, le conseguenze di queste scelte sciagurate non ricadono sui tecnocrati e sui politicanti che le hanno prese, ma su di noi, lavoratori, famiglie e comuni cittadini sempre più impoveriti e sempre meno liberi. E’ con le nostre classi dirigenti che dovremmo prendercela, non contro Trump che mette i dazi!