di Luigi Cortese

Il dibattito sul riarmo europeo sta prendendo una piega preoccupante. L’idea di destinare ingenti risorse economiche al settore della difesa, come proposto da diversi governi europei, rappresenta una scelta miope e rischiosa. Francia e Germania, i due paesi guida dell’Unione Europea, stanno affrontando difficoltà interne per giustificare l’aumento della spesa militare, segno che la direzione intrapresa non è condivisa unanimemente. Ma al di là delle dinamiche politiche nazionali, è l’intero progetto di riarmo europeo a sollevare interrogativi urgenti.

In un periodo storico segnato da crisi sociali, impoverimento e un drastico calo delle nascite nei popoli europei, investire massicciamente nel settore militare significa distogliere risorse fondamentali da ambiti ben più urgenti. Mentre le famiglie europee faticano a sostenere il costo della vita e i tassi di natalità crollano, questi fondi potrebbero essere destinati a politiche di sostegno alla natalità, incentivi alle famiglie e programmi di ripopolamento. Un’Europa che va dal Portogallo allo Stretto di Bering dovrebbe puntare a unire tutti i suoi popoli, non a dividerli alimentando guerre tra popoli fratelli.

Si sostiene che un’Europa più armata sia un’Europa più sicura. Ma la storia dimostra il contrario: l’aumento della spesa militare non ha mai portato a una maggiore stabilità, bensì a un incremento delle tensioni internazionali. L’idea di rafforzare le forze armate per proteggere la pace in Ucraina, ad esempio, rischia di esacerbare ulteriormente il conflitto, piuttosto che risolverlo. La sicurezza europea non si costruisce con i carri armati e i missili, ma attraverso la diplomazia, il dialogo e la cooperazione internazionale.

Un altro aspetto critico è l’idea di finanziare il riarmo attraverso nuovo debito pubblico. In Germania, il cancelliere designato Friedrich Merz ha proposto un pacchetto da 500 miliardi di euro, mentre in Francia si discute addirittura di raddoppiare la spesa per la difesa. Questo significherebbe gravare ulteriormente sulle finanze pubbliche, con il rischio di penalizzare il futuro delle nuove generazioni. Già oggi, molte economie europee faticano a sostenere i costi della pandemia e delle crescenti difficoltà sociali. Aggiungere un nuovo peso finanziario per alimentare l’industria bellica è una scelta irresponsabile.

Fortunatamente, all’interno di diversi paesi europei emergono voci critiche. In Germania, i Verdi si oppongono fermamente alla proposta di Merz, sottolineando che le risorse dovrebbero essere destinate ad altre priorità. Anche in Spagna, la vicepremier Yolanda Díaz contesta l’aumento del budget militare, ribadendo che la sicurezza europea non si costruisce con il riarmo, ma con la cooperazione. Questi segnali dimostrano che esiste un’alternativa al pensiero unico del militarismo. Anche in Italia, il dibattito resta acceso. Sebbene il governo attuale sembri allineato con la politica di riarmo sostenuta da Francia e Germania, cresce nel Paese una corrente critica che evidenzia come le risorse destinate alla difesa potrebbero essere impiegate per sostenere le famiglie, incentivare la natalità e affrontare l’emergenza demografica. L’Italia, con la sua crisi economica e sociale, dovrebbe riflettere attentamente sulle reali necessità della sua popolazione prima di contribuire a un’escalation militare.

L’Europa ha bisogno di investire in politiche che migliorino la vita dei cittadini, non di una nuova corsa agli armamenti. Un’Unione Europea che spende miliardi per la guerra invece che per la pace tradisce i suoi stessi principi fondatori. La sicurezza non si ottiene con più armi, ma con più diplomazia, cooperazione e investimenti nei settori che costruiscono una società più giusta e sostenibile. Dire no al riarmo europeo significa scegliere un futuro di pace, piuttosto che uno di conflitti senza fine.

 

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