di Matteo Uleri

L’Unione Europea continua a imporsi come attore centrale sulla scena economica e politica mondiale. Tuttavia, dietro la facciata di un’istituzione votata alla cooperazione e alla crescita condivisa, si cela una realtà ben diversa: l’UE ha favorito la disuguaglianza tra gli Stati membri, rafforzando gli interessi di un’élite finanziaria e industriale a scapito delle economie più deboli.

Le disuguaglianze economiche tra i Paesi dell’Eurozona sono evidenti e non sono il frutto del caso. Il modello di governance europeo, anziché basarsi su una vera solidarietà, è stato progettato per garantire la stabilità delle economie più forti – come quella tedesca – mentre impone vincoli rigidi e penalizzanti alle nazioni in difficoltà. L’articolo 3 del Trattato di Maastricht, siglato nel 1992, sancisce l’orientamento dell’UE verso un “mercato fortemente competitivo”, ma dietro questa definizione si cela una strategia di liberalizzazione selvaggia che ha sacrificato interi settori produttivi nazionali in nome del dogma neoliberista.

Le radici del problema risalgono all’introduzione del Sistema Monetario Europeo (SME) nel 1979, con l’obiettivo di stabilizzare i tassi di cambio tra le valute europee. Tuttavia, si trattava di un meccanismo rigido, penalizzante per economie come quella italiana, che necessitavano di maggiore flessibilità. Il 1992 segnò un momento cruciale: una speculazione finanziaria orchestrata da investitori come George Soros costrinse l’Italia a uscire dallo SME, portando a una svalutazione della Lira. Quello che sembrava un disastro si rivelò invece un’opportunità: con una moneta più competitiva, l’economia italiana tornò a crescere. Ma il sistema europeo non poteva permettere un’Italia economicamente indipendente. Così, nel 1996, il governo Prodi fece rientrare la Lira in un regime di cambio fisso, preparando il terreno per l’introduzione dell’Euro.

L’adesione alla moneta unica è stata presentata come una grande conquista, ma ha portato con sé conseguenze devastanti. Senza la possibilità di svalutare la propria moneta, l’Italia ha visto crollare la sua competitività, mentre i Paesi del nord EuropaGermania in primis – hanno tratto enormi vantaggi da un sistema pensato su misura per loro. La crisi del 2008 ha poi mostrato il vero volto dell’Unione: invece di sostenere le economie in difficoltà, l’UE ha imposto rigidissime politiche di austerità, aggravando la recessione e aumentando la disoccupazione.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è l’ennesima dimostrazione della natura predatoria dell’UE. Questo fondo, presentato come strumento di sostegno agli Stati membri, si è rivelato un cappio al collo per le economie più fragili. L’Italia ha già versato circa 125 miliardi di euro tra capitale e garanzie, ma in cambio riceverebbe prestiti a condizioni draconiane, con il rischio di perdere il controllo sulle proprie finanze. L’esempio della Grecia è emblematico: con l’intervento della Troika (BCE, FMI e Commissione Europea), il Paese è stato costretto a svendere il proprio patrimonio pubblico e a subire tagli brutali alla sanità e al welfare, con effetti devastanti sulla popolazione.

Oggi l’Italia si trova nella stessa trappola. L’Unione Europea, nata come promessa di prosperità e cooperazione, si è rivelata un meccanismo di controllo economico e politico, che soffoca la sovranità nazionale e favorisce le grandi lobby finanziarie. I vincoli di bilancio imposti da Bruxelles hanno reso impossibile per l’Italia attuare politiche di crescita indipendenti, relegandola a un ruolo subalterno nel contesto europeo.

L’illusione di un’Europa unita e solidale è ormai svanita. L’UE non è una federazione di Stati sovrani che collaborano per il bene comune, ma un progetto fallimentare che ha sacrificato l’indipendenza economica e politica delle nazioni in nome di un’utopia tecnocratica.

L’unica via d’uscita è riprendere in mano il nostro destino. L’Italia ha bisogno di una politica economica autonoma, svincolata dalle imposizioni europee. Continuare a credere nelle promesse dell’UE significa condannarsi alla stagnazione e al declino. È tempo di ammetterlo: l’Unione Europea è stata un errore storico e va superata.

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