di Matteo Uleri

Le disastrose prestazioni della Nazionale italiana di calcio non sono un caso, ma il risultato di un sistema fallimentare che ha progressivamente smantellato il ruolo dei giocatori italiani nei club di Serie A. Il problema principale? L’apertura senza freni agli stranieri, che ha ridotto le opportunità per i talenti nostrani e distrutto l’intero movimento calcistico nazionale.

Basta guardare i numeri: nell’ultima edizione della Serie A, circa il 65% dei calciatori tesserati erano stranieri. Un dato allarmante che dimostra come le squadre di club abbiano da tempo abbandonato l’idea di investire nei vivai e nelle giovanili, preferendo percorrere la strada più semplice e immediata, ovvero quella dell’acquisto di giocatori stranieri già formati.

Il danno irreversibile ha un’origine ben precisa: il 9 maggio 1980, sotto la presidenza di Artemio Franchi, la FIGC decise di riaprire le frontiere ai calciatori stranieri, eliminando il limite che fino ad allora permetteva di tesserarne solo uno per squadra. Una decisione che, negli anni, ha spianato la strada a un’invasione senza freni, trasformando i nostri campionati in un terreno fertile per giocatori provenienti da ogni angolo del mondo, spesso di livello mediocre, mentre i giovani italiani venivano relegati in panchina o costretti a cercare fortuna nelle serie minori.

Questa scelta scellerata, invece di rafforzare il nostro calcio, lo ha affossato. Il risultato? Una Nazionale incapace di competere ai massimi livelli e una Serie A che, nonostante la presenza di tanti stranieri, non è più tra i campionati migliori d’Europa. L’illusione che l’importazione di talenti esteri potesse elevare il livello del calcio italiano si è rivelata una colossale bugia: il nostro movimento è in declino e la colpa è di chi ha anteposto gli interessi economici alla crescita del sistema.

A peggiorare la situazione ci ha pensato l’attuale gestione della FIGC, guidata da Gabriele Gravina, che non ha fatto nulla per porre un freno a questa deriva. Anziché imporre limiti chiari ai tesseramenti stranieri e incentivare gli investimenti nei vivai, la Federazione ha permesso che il nostro calcio venisse svuotato della sua identità, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Oggi il calcio italiano è ridotto a un mercato per procuratori e intermediari, dove conta solo il business e non la valorizzazione dei nostri ragazzi. Le società investono milioni su calciatori stranieri di dubbio valore, mentre i giovani italiani, anche i più promettenti, vengono scartati o sottoutilizzati. E la conseguenza è drammatica: un calcio nazionale che non produce più campioni, una Nazionale che fatica a qualificarsi per i grandi tornei e un movimento destinato all’irrilevanza.

Se vogliamo restituire dignità al nostro calcio, è necessario un cambiamento radicale. Serve un limite severo al numero di stranieri tesserabili in Serie A e un obbligo reale per le squadre di investire sui giovani italiani. Bisogna smettere di svendere il nostro calcio e restituirlo ai suoi legittimi protagonisti: i giocatori italiani. Solo così potremo tornare competitivi, non solo a livello di club, ma soprattutto come Nazionale.

Basta con il calcio delle multinazionali, basta con l’invasione senza regole: restituiamo lo sport agli italiani.

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