Con l’uscita di scena di Marine Le Pen, condannata per malversazione di fondi e interdetta dai pubblici uffici per cinque anni, Jordan Bardella si impone come il candidato naturale del Rassemblement National per le elezioni presidenziali del 2027. A soli 28 anni, il leader del partito ha completato con successo il processo di “dédiabolisation” avviato da Le Pen, ponendosi come una figura più moderata e presentabile agli occhi di un elettorato tradizionalmente diffidente nei confronti della destra radicale francese.
L’apertura alla comunità ebraica
Uno degli aspetti più sorprendenti della strategia politica di Bardella è il tentativo di costruire un ponte con la comunità ebraica francese, storicamente ostile al Rassemblement National a causa delle origini del partito e delle posizioni passate di Jean-Marie Le Pen. Questa svolta è stata sottolineata dall’invito che Bardella ha ricevuto, insieme a Marion Maréchal, a partecipare a una conferenza sull’antisemitismo a Gerusalemme, organizzata dal primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu. Si tratta di un evento senza precedenti, mai concesso in passato a un esponente del RN, e che segnala una volontà di dialogo inedita.
L’apertura verso Israele e la comunità ebraica francese si inserisce in una strategia più ampia per ampliare la base elettorale del partito e accreditarsi come una forza politica in grado di governare il Paese. Bardella ha più volte ribadito il suo impegno contro l’antisemitismo e il suo sostegno alla sicurezza della comunità ebraica, condannando gli attacchi ai cittadini ebrei in Francia e prendendo le distanze da qualsiasi retorica ambigua del passato.
Il caso Bannon e la strategia di normalizzazione
Se l’apertura agli elettori ebrei rappresenta una mossa simbolica forte, altrettanto significativo è stato il suo atteggiamento nei confronti della destra radicale internazionale. A febbraio 2025, Bardella ha annullato la sua partecipazione alla Conservative Political Action Conference (CPAC) di Washington dopo che Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, è stato accusato di aver fatto un presunto saluto romano durante il suo intervento.
La reazione di Bardella è stata immediata e netta: “Uno degli oratori ha fatto un gesto provocatorio che si riferiva all’ideologia nazista. Di conseguenza, ho preso la decisione immediata di cancellare il mio discorso.” Questa presa di distanza ha rafforzato la sua immagine di leader deciso a recidere ogni legame con l’estrema destra più oltranzista, distinguendosi dalle ambiguità che in passato avevano penalizzato il Rassemblement National sul piano elettorale.
La scelta, però, ha generato anche tensioni con una parte della destra internazionale. Bannon ha attaccato Bardella definendolo “un ragazzino, troppo debole per governare la Francia“, evidenziando le difficoltà di una strategia di riposizionamento che rischia di alienare le frange più radicali della base elettorale del RN.
Un parallelismo con Giorgia Meloni
L’evoluzione politica di Jordan Bardella presenta numerosi punti di contatto con quella di Giorgia Meloni, attuale presidente del Consiglio italiano. Anche Meloni ha lavorato per sganciare Fratelli d’Italia dalla sua base storica legata al Movimento Sociale Italiano, ridefinendo l’identità del partito in chiave conservatrice e nazionale, ma distante dalle posizioni nostalgiche e più estreme. Questo riposizionamento le ha permesso di conquistare il centro del panorama politico italiano, attirando elettori moderati e costruendo alleanze strategiche a livello internazionale.
Allo stesso modo, Bardella sta cercando di ripulire l’immagine del Rassemblement National per renderlo una forza politica accettabile per un’ampia fascia dell’elettorato francese. Il distacco da certe figure e ideologie del passato, unito all’apertura verso gruppi tradizionalmente diffidenti come la comunità ebraica, segue la stessa logica adottata da Meloni per trasformare Fratelli d’Italia da un partito di nicchia a una forza di governo.
Verso il 2027: Bardella candidato in pectore
Con Marine Le Pen fuori dai giochi e la sua stessa leadership ormai consolidata, Jordan Bardella si prepara a guidare il Rassemblement National alle elezioni presidenziali del 2027. La sua sfida principale sarà quella di convincere un numero sufficiente di francesi che il RN è ormai un partito di governo, capace di superare le paure del passato e di offrire una reale alternativa al blocco centrista.
L’apertura alla comunità ebraica, il rifiuto di ogni associazione con l’estremismo e la volontà di apparire come un leader responsabile lo pongono come il volto nuovo della destra “perbene” francese. Se riuscirà a mantenere questo equilibrio senza perdere il sostegno della base storica del partito, Bardella potrebbe diventare il primo leader del RN a sfidare concretamente la corsa all’Eliseo con reali possibilità di vittoria.
L’adesione ideologica al sionismo e il sostegno incondizionato a Israele sono diventati l’unico modo per rendere accettabile il populismo di destra in Occidente. Il Rassemblement National ne è la più evidente dimostrazione. La povera Marine Le Pen ha fatto di tutto per liberare il suo partito (ex Front National) dalla cattiva immagine impressagli da quel fascistone di suo padre, ha cercato di farsi benvolere da Israele e dalla comunità ebraica francese fino a sacrificare i più sacri affetti familiari. Ma i “figli dell’Alleanza” non perdonano: estromessa dalla politica per via giudiziaria, ha dovuto passare la mano a Jordan Bardella, un personaggetto ancora più insignificante di lei. Intendiamoci: fare ammenda per eventuali trascorsi razzisti e antisemiti è cosa buona e giusta, ma oggi i “radunatori nazionali” si proclamano orgogliosamente sionisti, cioè reputano lecita e giusta la pulizia etnica in Palestina e ritengono che prendere le distanze, anche solo in modo parziale e indiretto, dalla feroce politica antiaraba dell’entità sionista equivalga a un atto di antisemitismo, ossia un atto di odio razziale e religioso contro il popolo ebraico. Di fronte a un tale sfoggio di ignoranza e/o malafede si potrebbe liquidare il tutto con una sonora risata, ma credo che sia opportuno fare qualche cenno storico per rimettere le cose (e le idee) a posto.
Il sionismo arrivò in Palestina come prodotto importato dall’Europa nella seconda metà dell’Ottocento.
Qui è opportuno aprire una parentesi. Sono pochissimi gli ebrei che possono vantare una discendenza dagli abitanti della Palestina di duemila anni fa. La grande maggioranza di quelli che oggi si definiscono ebrei sono ashkenaziti, discendenti dei cazari, un popolo delle steppe eurasiatiche, di origine turca, che si stanziò nel nord del Caucaso e nell’est dell’Ucraina alla fine del VII secolo, e che cominciò a praticare la religione ebraica fra l’VIII e il IX secolo (si veda: Artur Koestler, La Tredicesima Tribù, Ghibli, 2024). L’ipotesi cazara ha suscitato un dibattito sull’identità israeliana e sulle basi del sionismo: protagonista di questo dibattito è lo storico Shlomo Sand che si segnala per l’onestà intellettuale delle sue affermazioni ed è pertanto considerato un traditore nello stato ebraico (si veda: Shlomo Sand, L’invenzione Del Popolo Ebraico, Mimesis, 2024)
Torniamo al sionismo. Pochi sanno che le sue origini risalgono al XVI secolo e non sono ebraiche, bensì cristiano evangeliche. Un numero consistente di cristiani protestanti (lo dico sempre che il protestantesimo fu un’autentica sciagura…) credeva che con il ritorno del popolo ebraico a “Sion” si sarebbero realizzate le promesse fatte da Dio agli ebrei, così come sono contenute nell’Antico Testamento. Quello sarebbe stato il presagio della Seconda Venuta di Cristo (Parusia), che avrebbe segnato l’inizio della fine del mondo, processo che molti evangelici volevano accelerare. Furono loro a considerare gli ebrei come membri di una nazione o di una razza, invece che come credenti di una fede religiosa. Si dimostrarono particolarmente attivi prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Non li motivava certo la simpatia verso il popolo ebraico, anzi, alcuni erano apertamente antisemiti e consideravano la Palestina come una discarica per liberarsi degli ebrei, ritenuti dei “rompiscatole”, che vivevano negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nel resto d’Europa. Peraltro, con la scusa della religione, gli ebrei potevano essere mobilitati affinché strappassero la Palestina dalle mani dell’Impero ottomano, che aveva vanificato i disegni imperialisti europei in quella regione.
I fondamentalisti cristiani (protestanti) di oggi, definiti sionisti cristiani negli Stati Uniti, condividono ancora queste idee e costituiscono, dopo l’AIPAC, la più importante lobby filoisraeliana degli States, sostenendo il diritto all’annessione e alla colonizzazione ebraica da parte di Israele di Gaza e della Cisgiordania. Sia pure senza certi accenti millenaristici, tutti i partiti europei definiti di estrema destra che sono ansiosi di rifarsi il look e ambiscono ad andare al governo nei rispettivi paesi condividono questa impostazione e i loro leader non vedono l’ora di fare lingua in bocca con Netanyahu… puah!
Sottomettersi ad una lobby, sembra diventato l’unico modo per “diventare virale” come partito in Occidente. Condivido le osservazioni di Massimo.
Stessa cosa stava accadendo in Ungheria. Non si sa cosa sia accaduto al partito Jobbik, che aveva un largo seguito, anche grazie al Prof. Gabor Vona.
Si parlava, anche lì, di rendere il partito più “de-demonizzato” e consono alle pretese di alcuni ambienti. Ci hanno guadagnato semplicemente i partiti di centro o centrodestra, che, alla fine, finiscono, proprio perché sottomessi a quelle lobbies, di sostenere l’estremismo ebraico e omicida.
Non sarebbe concesso, infatti, criticare Israele o il sionismo, però, poi sarebbe concesso partecipare all’estremismo degli ebrei. Agli stessi ebrei sarebbe, invece, concesso di avere ogni tipologia di partito, senza restrizioni, ed essere razzisti.
Marine Le Pen diventò virale dopo la rottura con il padre. Questa rottura ha previsto proprio l’instaurazione di legami con ambienti israeliani,anche se un po’ aperto verso la Russia per non dare l’idea di aver tradito gli elettori francesi.
Ha avuto maggiore spazio nei media come gli altri partiti. È un po’ come se la lobby sionista avesse delle carte da giocare. C’è la carta A, c’è la carta B, c’è la carta C. Mi sembra tra l’altro un metodo mafioso. Se ti sottometti ti dò protezione. In questo caso, se ti sottometti, vai in televisione, non dichiariamo fuorilegge il tuo partito, ti facciamo partecipare al teatrino politico e ti aiutiamo nell’avere milioni di followers su internet.
Come è stata ripagata? Ha dirottato il Front National, ha perso comunque le elezioni e ora è stata anche condannata.
Stessa cosa potrebbe succedere in USA a Tulsi Gabbard. Hanno dato l’idea di opporsi all’interventismo unilaterale dell’Occidente, si è opposta alla guerra contro la Siria….. ma ora, dopo essere entrata nell’entourage di Trump, non userebbe lo stesso atteggiamento nei confronti della guerra contro l’Iran.
Stiamo attenti, perché dietro un falso atteggiamento pacifico del “basta guerre” del nuovo governo USA e che lo ha portato a vincere le elezioni, si nasconde dietro qualcos’altro proprio contro l’Iran e che i furbetti starebbero preparando. Il vero presidente USA infatti sembra essere Netanyahu.
Mi correggo su Tulsi Gabbard da me menzionata nel commento precedente . Pur avendo usato un atteggiamento ambiguo verso l’Iran nei mesi passati, negli ultimi giorni sta comunque affermando, come espressione dell’Intelligence USA, che l’Iran non ha l’atomica…. quindi si opporrebbe all’atteggiamento di Trump.
Sarò un pò all’antica ma preferisco darmi all’Ippica piuttosto che fare il Rinnegato.