di Gloria Callarelli
L’Avvocato Minutillo è stato recentemente sospeso dall’esercizio della professione forense per 60 giorni. In risposta, ha annunciato l’intenzione di impugnare questa decisione presso la Corte di Cassazione. In questa intervista, approfondiremo le motivazioni alla base della sua scelta e le implicazioni che questa vicenda potrebbe avere sul panorama legale.
- Avvocato, ci racconti un po’ cosa è accaduto: come è venuta fuori la questione, chi l’ha presentata, in che modo è stato sospeso?
È accaduto che, in uno studio legale, un fascicolo interno, non destinato a terzi, riportava un nome abbreviato con la parola “negro”. Un’etichetta interna, come ce ne sono migliaia. Il nome della controparte, infatti, era quello di un cittadino nigeriano imputato per aver aggredito due poliziotti su un treno che invece erano difesi da me. Il suo nome era talmente lungo, complesso e composto da una sequenza di consonanti da risultare insopportabile ed ingestibile nella quotidianità operativa. Per mera comodità interna, e senza alcuna intenzione offensiva o comunicativa, sul dorso del fascicolo si era scelto di sintetizzare con un termine breve e riconoscibile. È prassi in ogni studio: c’è il “fascicolo col tedesco”, quello “col calzolaio”, quello “del tabaccaio”. Nessuno pensa che siano qualificazioni denigratorie. Eppure, un magistrato della Corte di Cassazione – il dott. Roberto Riverso – dichiarò di aver ricevuto una segnalazione da Ravenna, con tanto di fotografia – scattata di nascosto ed a tradimento da qualcuno – della cartellina, e pensò bene di renderla pubblica su Facebook, trasformandosi da giudice in influencer moralizzatore. Da lì, un’ondata di isteria giudiziaria e mediatica degna della peggiore inquisizione ideologica. La sospensione? Due mesi di esilio professionale: una Ventotene in salsa moderna, per un’etichetta su un faldone che non era destinata a nessuno. Nemmeno Kafka avrebbe osato tanto. - Come reagirà a questa sospensione?
Con la schiena dritta. Reagirò, certo, con impugnando la decisione in Cassazione. Ma soprattutto reagirò parlando, scrivendo, denunciando questa vicenda come emblema del degrado giuridico e culturale in cui è sprofondata l’Italia. Quando un avvocato viene perseguitato per ciò che dice – o, peggio ancora, per ciò che si presume pensi – non siamo più in uno Stato di diritto, ma in uno Stato terapeutico, in cui si viene “rieducati” se non ci si conforma al verbo del progressismo radical chic.
Del resto, che oggi un avvocato possa essere perseguitato per una parola può succedere solo in Iran. O almeno pensavamo che accadesse solo lì. Invece accade anche in Italia. E c’è un precedente che fa gelare il sangue: l’ultima volta che a un avvocato fu impedito di esercitare per una parola scritta su un fascicolo, quella parola non era “negro” ma “ebreo”. Era il 1938, l’anno delle leggi razziali tanto vituperate dagli odierni radical chic. Allora gli avvocati ebrei venivano radiati per la loro condizione personale. Quei nomi, oggi, sono incisi su lapidi commemorative nei tribunali, a monito per ciò che non doveva più accadere. E invece accade di nuovo. Si sa che la storia si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda in farsa. E oggi, a quasi novant’anni di distanza, si sospende un avvocato per una opinione semantica. Il problema è che il pensiero dominante, ubriaco della propria arroganza, non se ne rende nemmeno conto.
- Il termine “negro”, è italiano?
È italianissimo. Sta nei vocabolari, nei libri scolastici, nei documentari Rai degli anni ‘80. È una parola descrittiva di una caratteristica somatica.
Come ho sostenuto nel mio libro Anche i fascisti hanno Diritti, il termine “negro” è semplicemente un’identificazione di una caratteristica somatica. Non è un insulto, non è una denigrazione. È una parola che descrive un tratto fisico, così come si direbbe “alto”, “moro”, o “asiatico”. A questo proposito l’articolo 1 della Convenzione di New York contro il razzismo del 1966 definisce è razzismo solo quando si attribuisce una diminuzione nei diritti o nella dignità della persona in conseguenza di una caratteristica fisica o personale. Non è l’identificazione il problema, ma le conseguenze limitative che eventualmente ne derivano. Dunque, è evidente che l’uso semplice del termine non ha – neppure secondo il diritto internazionale – alcuna valenza discriminatoria. Solo l’ideologia del politicamente corretto, che è la vera patologia culturale del nostro tempo, ha deciso che debba diventare indicibile. Ma io rivendico il diritto di sottrarmi a questa follia linguistica, dove le parole vengono bandite come se fossero malattie. Domani toccherà a “cieco”, poi a “vecchio”, poi a “padre” e “madre”. È una corsa verso l’idiozia.
E allora perché tutto questo rumore?
Perché non si giudicano più i fatti, ma le intenzioni presunte. Non le azioni, ma le percezioni. E così si finisce per processare non ciò che si è fatto, ma ciò che si sarebbe voluto dire. È il processo alle intenzioni – quello che una volta facevano i regimi, e che oggi fanno i moralisti col braccialetto arcobaleno.
- Il politically correct è una sorta di violenza privata? Genera stress, impedisce la libera espressione… si potrebbe sostenere questa tesi?
Altroché se si può. Il politically correct è una forma di censura con il sorriso: non ti dice solo cosa puoi dire, ma anche come devi dirlo, quando, con quali parole, e soprattutto quali parole non devi mai più pronunciare. È una camicia di forza linguistica, una pedagogia forzata travestita da civiltà, un codice morale imposto dall’alto da chi si autoproclama depositario del bene e del male. Non ti condanna con la legge, ma con l’emarginazione sociale, con la gogna, con la damnatio memoriae. E adesso anche con la sospensione professionale.
Per questo dico – e lo dico con amarezza e con lucidità – che la libertà si perde una parola alla volta. Non ce ne accorgiamo nemmeno: una parola prima “inadeguata”, poi “offensiva”, infine “proibita”. E una volta che quella parola è stata espulsa dal lessico, insieme ad essa viene cancellata la possibilità di pensare liberamente, di esprimere idee fuori dal coro, di nominare la realtà per quello che è. È un processo lento, ma inesorabile: e quando questa società di rammolliti si sveglierà, si accorgerà che ci hanno portato via il linguaggio, e con esso la coscienza critica.
- È quasi più tollerata la bestemmia di questo. Siamo al rovesciamento della realtà?
Assolutamente sì. Se avessi scritto una bestemmia sulla cartellina, probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato. Magari qualcuno avrebbe pure sorriso, dicendo che in fondo si tratta di folclore, o goliardia. Ma ho osato scrivere una parola che – fino a ieri – era del tutto neutra, e oggi è diventata il marchio dell’eresia moderna. Questo rovesciamento dei valori è il frutto avvelenato di una società massonica, che ha perso completamente il senso del sacro per sostituirlo con un culto ossessivo della cosiddetta “fraternità”. Ma non nell’unica fraternità vera, radicata nella Fede in Cristo: no, una fraternità piatta, uniforme, disincarnata. Senza distinzione ideologica, razziale, etnica, religiosa. Tutto va bene, purché sia conforme a ciò che il sistema decide che è giusto.
Il punto è proprio questo: siccome il sistema ha stabilito che la fede, il sacro, la spiritualità sono valori relativi, allora ogni espressione che li difende o li manifesta è trattata con sufficienza, o con fastidio. Al contrario, il sistema eleva ad assoluto altri dogmi: il genere, l’identità fluida, l’inclusività compulsiva. E chiunque osi mettere in discussione queste nuove religioni laiche viene espulso dal consesso civile.
Vedendo la deriva moderna e modernista a volte mi viene da pensare che nella storia dell’umanità i roghi della Santa Inquisizione siano stati troppo pochi, e soprattutto siano finiti troppo presto. Ed oggi, al posto del rogo, c’è la scomunica mediatica, il linciaggio professionale, la sospensione disciplinare. E tutto questo non avviene in nome di Dio, ma in nome del Nulla.
Attenzione, però, perché in Iran non avviene neppure. Tra l’altro, l’Iran, lo scorso anno ha rimpatriato milioni di immigrati illegali e tra questi persino sciiti, cioè della stessa religione di Stato della Repubblica iraniana. L’Iran e il Paese degli ariani, perché così lo chiamavano anche i tedeschi. Il termine che riconduce alla radice “ariano” in Iran lo sintrova dappertutto, dalle televisioni alle compagnie aeree. Adolfo Hitler e gli studiosi tedeschi consideravano l’Iran il Paese degli ariani.
Diciamo invece, che, se lo avesse fatto un ebreo, e loro di cose ne fanno e ne dicono, nulla sarebbe accaduto. Agli ebrei tutto è concesso,anche creare partiti estremisti per istigare all’odio contro altri popoli o nazioni, quindi non migranti. Poi, per farsi vedere che loro sono buoni,con l’altra faccia della medaglia, difendono in Occidente l’immigrazione o cominciano a parlare di queste cose. Liliana Segre, per esempio, difende l’immigrazione, parla in favore dei migranti, infatti lo ha fatto,e, nel medesino tempo, difende il genocidio dei palestinesi autoctoni della Palestina, continuando a rubare denaro allo Stato, cioè ai cittadini, con i vitalizi.
Trovo ridicolo prendere misure di questo genere per una parola, che non ha nulla di dispregiativo, ma presente nel vocabolario italiano. Allo stesso modo, trovo ridicolo, quando non si può affermare che la maggior parte dei reati sono commessi da immigrati. Il principio è il medesimo, se lo dici ,può essere un discorso razzista. Questa è schiavitù. È una nuova forma di dittatura.
E’ di alcuni anni fa la notizia che il romanzo “Le avventure di Hucleberry Finn” di Mark Twain, un classico della letteratura americana, è stato ripubblicato da una casa editrice statunitense sostituendo nel testo la parola “nigger”, ritenuta offensiva, con il termine “black”. In realtà, come i suoi corrispondenti “nègre” in francese e “negro” in italiano, questa parola non aveva alcun significato dispregiativo nei confronti delle persone con la pelle scura, e nessuno si sarebbe sognato di attribuirglielo prima che un’ondata di politicamente corretto si abbattesse sulle società occidentali. Anzi, dal secondo dopoguerra fino agli anni sessanta del Novecento, questo termine venne rivendicato con orgoglio sia dal movimento per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti sia dai movimenti per la decolonizzazione dell’Africa (si pensi al concetto di “negritudine”, emblema della rinascita culturale e politica degli africani, elaborato dal poeta e leader politico Léopold Sédar Senghor, primo presidente del Senegal dopo l’indipendenza).
Il politicamente corretto, dicevo. Da quasi mezzo secolo, esso è diventato lo strumento ideologico principale di quel blocco sociale e di quelle classi dirigenti che hanno abbracciato il progressismo come filosofia di vita e fondamento della convivenza civile. Per tenere singoli e gruppi in un perenne stato di soggezione, oggi non si usa più la violenza (almeno non in prima battuta), ma si preferisce il controllo dei cuori e delle menti attraverso la manipolazione di quello che è il principale strumento di interazione tra gli esseri umani: il linguaggio. Con la manipolazione delle parole, ad esempio, l’aborto si chiama “interruzione volontaria di gravidanza”, l’utero in affitto diviene “gestazione per altri”, l’immigrato clandestino diventa immediatamente un “profugo” e l’omosessuale è senz’altro un “gay”, cioè un tipetto gaio, allegro, gaudente. Questa sorta di “catechismo (in)civile”, con una sua strutturale tendenza alla censura, opera a volte in modo esplicito tramite leggi, direttive e circolari, ma più spesso lo fa in modo subdolo attraverso i mezzi di comunicazione di massa e l’intrattenimento, infiltrandosi nella vita di tutti per via inconscia e subliminale, tanto da entrare nei pensieri più profondi di ogni individuo, così da non permettere più di capire se i pensieri siano veramente i propri oppure siano instillati da qualcun altro per generare “esseri pensati” e non “esseri pensanti”.
Va da sé che chi resiste all’indottrinamento progressista e non ubbidisce ai diktat del politicamente corretto può essere sospeso per due mesi dall’esercizio della sua attività professionale, come è successo all’avvocato Minutillo. Ma può capitare anche di peggio: un insegnante irlandese, Enoch Burke, poiché non si è genuflesso al transgenderismo e si è rifiutato di rivolgersi con il pronome neutro a un suo studente che ne aveva fatto richiesta, si è fatto quattrocento giorni carcere e ha ora il conto corrente bancario bloccato. Questo è quanto accade in quello che un ex alto rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha definito “un giardino fiorito”, ma che appare a qualsiasi essere senziente e pensante come un putrido letamaio.
La vicenda ha un qualcosa di strano .
Si vuol far passare un innocuo termine come oltraggioso , offensivo e lesivo .
Eppure questa parola è presente in alcuni toponimi , si veda Montenegro , Paese dei Balcani che ha dato i natali ad una Regina : Jelena Petrovic Njegos , meglio nota come Elena del Montenegro . Addirittura un famoso amaro (liquore) porta questo nome . La scandalosa parola è anche contenuta nel nome di un celebre vitigno meridionale denominato Negroamaro (spesso è scritto negro amaro) che ha dato il nome all’omonimo vino e ad un gruppo musicale : i Negroamaro , per l’appunto . E’ presente anche in altri composti , come ad esempio negromante , anche se in verità , la prima parte del composto deriva dal greco “nekros” , ossia morto , poi accostato erroneamente , per analogia di suono , all’italiano negro ( e “mantinos” , ossia , indovino ) .. Il termine della discordia deriva , semplicemente , dall’aggettivo latino maschile , della prima classe , niger , o meglio dal suo accusativo singolare , nigrum , da cui l’italiano negro e per caduta della consonante “g” in corpo alla parola (sincope) abbiamo avuto la parola nero . Era nella Roma antica anche un cognome , si veda ad esempio , Marcus Valerius Messalla Niger .
Ma la cosa più sorprendente è che , così tal quale , l’incriminato termine è anche un cognome italiano .
Le famiglie che fanno di cognome Negro , nel nostro Paese , sono ben 5.643 ( in massima parte presenti al nord , in Piemonte e in Veneto , al terzo posto , però , vi è la Puglia ) .
Poi se ciò non bastasse , vi sono le varianti (accrescitivi , vezzeggiativi , diminutivi , plurali ,
composti ed affini per gradazione apofonica ) come : Negroni (oltre 1200 famiglie , perlopiù presenti al nord ) , Negri , Negrello , Negrelli , Negretto , Negretti , Negroponte , Lo Nigro , Del Nigro , Dal Negro e Del Negro e mi fermo qui .
Ora , non mi risulta che queste decine di migliaia di Italiani considerino il loro cognome offensivo per se stessi , per i loro figli e / o per gli altri , e che si rechino tutti i giorni all’ufficio anagrafe del proprio comune per iniziare le procedure per cambiarlo .
Allora il problema dove sta ? Il problema , in realtà , è un problema politico , con la scusa del political correct si vuole porre in atto una politcal revenge , contro una persona che non ha fatto mai mistero alcuno della sua fede politica .
Ma il termine esatto non dovrebbe essere politically correct ?
Esatto ! Ho , nella fretta , inconsciamente assimilato , nello scrivere ,
politically a political . Il primo è un avverbio , il secondo è un aggettivo , per cui la prima espressione avrebbe dovuto essere politically correct (politicamente corretto ) , la seconda , invece , giustamente , è political revenge (vendetta politica , o ritorsione politica , che a dir si voglia) .
La sospensione dell’Avvocato Minutillo per una parola usata in un appunto interno, senza intento offensivo, desta perplessità. Sembra eccessivo dare tanto peso a un’etichetta privata, ignorando il contesto e l’assenza di volontà discriminatoria.Ci troviamo di fronte a una situazione anacronistica. Un termine un tempo comune viene oggi trattato come colpa grave, con una reazione sproporzionata. Questa sospensione appare irragionevole perché focalizzata su una singola parola decontestualizzata, anziché sui fatti. Punire un appunto interno non destinato a terzi sembra eccessivo e rischia di soffocare la libertà di pensiero ed espressione. Pensiamo all’uso, un tempo più comune, di riferimenti al colore della pelle in contesti privati o descrittivi.Speriamo che la giustizia riporti la vicenda al buon senso, evitando di trasformare un appunto interno in un caso nazionale anche perché se cosi non fosse saremmo tutti in pericolo perché non potremmo più dire “ fumare come un turco” verrebbe censurato il selvaggio west e caso ancora più grave non potremmo più “ fare gli indiani”!
Solidarietà all’avvocato!