di Daniele Trabucco

Il Re Carlo III, sovrano del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e dei quattordici reami del Commonwelth, ha tenuto un discorso davanti al Parlamento italiano riunito in seduta comune nel quale ha sottolineato l’importanza della difesa dei “valori democratici” comuni da parte dei due Paesi. Ora, nel lessico politico contemporaneo l’espressione “valori democratici” è diventata una formula mitica, ripetuta con automatismo liturgico nei discorsi pubblici, nei documenti delle istituzioni e nei manifesti dell’ideologia dominante. Tuttavia, questa formula, lungi dall’essere neutra o innocente, nasconde una trasformazione radicale del modo in cui si concepiscono l’ordine, il diritto e la politica.

Come ha messo lucidamente in evidenza Carl Schmitt (1888-1985) nella sua opera “La dittatura dei valori“, parlare di “valori” è il sintomo di una crisi dell’oggettività giuridica e morale. I valori non sono principi universali, ma affermazioni di preferenze soggettive: non esprimono ciò che è, ma ciò che si vuole imporre come desiderabile, spesso con la pretesa di una validità assoluta che, però, ne tradisce l’origine storica e contingente. Il valore, a differenza del bene o del vero, non ha una consistenza ontologica. È sempre legato a un atto di volontà e, quindi, a una decisione. Una decisione, però, che non è orientata da un ordine naturale delle cose, bensì da una gerarchia mutevole di interessi, di convenienze, di passioni collettive.

Così, ciò che ieri era un disvalore oggi viene proclamato valore da tutelare, e ciò che oggi è sacro e inviolabile domani può essere dichiarato retrogrado o pericoloso. È il trionfo di una dittatura camaleontica, che cambia forma senza mai perdere la propria forza normativa: una dittatura culturale che impone cosa si possa dire, pensare, educare, legiferare grazie alla procedura democratica. La retorica dei “valori democratici” è, in questa prospettiva, una delle forme più sofisticate di tale regime.

Questi valori non hanno nulla di democratico nel senso classico del termine, perché non nascono da un consenso reale e informato, ma da una produzione ideologica calata dall’alto, da agenzie sovranazionali, da élite intellettuali, da apparati mediatici. Essi servono non a proteggere la pluralità, ma a selezionare arbitrariamente ciò che è degno di cittadinanza e ciò che deve essere espulso dal discorso pubblico. Chi non si adegua ai “valori” imposti viene squalificato moralmente e giuridicamente, etichettato come antidemocratico, quando non come pericoloso. È questa la paradossale conclusione di un sistema che pretende di difendere la libertà imponendo dogmi.

A fronte di questa deriva volontaristica e relativistica, occorre recuperare una nozione forte di diritto e di politica, fondata non sui valori, ma sui principi. E questi principi non sono arbitrari o storicamente determinati: sono quelli che la tradizione del diritto naturale classico ha custodito e trasmesso, da Aristotele a Tommaso d’Aquino, passando per la scolastica. Il diritto naturale, nella sua accezione classica, non si fonda su preferenze soggettive, ma su un ordine oggettivo inscritto nella natura razionale dell’uomo e delle cose. Esso riconosce che l’azione politica e giuridica deve essere orientata al bene comune, inteso non come somma di interessi particolari, ma come pienezza di condizioni che consentono alla persona umana di realizzare la propria perfezione secondo ragione. L’erosione di questa visione ha reso la politica una tecnica del consenso e il diritto uno strumento di ingegneria sociale. Ma la crisi delle società occidentali dimostra che non si può costruire una civiltà su valori instabili e intercambiabili. È necessario un fondamento più solido, che possa reggere alla prova del tempo e della storia. I valori dividono, i principi uniscono; i valori si impongono, i principi si riconoscono; i valori passano, i principi restano. Per questo, in un’epoca di smarrimento etico e di disordine giuridico, la rinascita della politica passa attraverso il ritorno al diritto naturale, unico argine alla tirannia culturale dei “valori” e unica bussola per una vera giustizia.

Share via
Copy link
Powered by Social Snap