di Luigi Cortese

Mentre il dibattito politico e mediatico si concentra su aspetti marginali del nuovo Decreto Sicurezza – come l’aumento delle pene per reati contro le forze dell’ordine o i provvedimenti sulle occupazioni abusive – un articolo ben più pericoloso scivola sotto silenzio. È l’articolo 31, un punto apparentemente tecnico, ma in realtà potenzialmente devastante per la tenuta democratica del Paese.

L’articolo 31: una minaccia per la libertà

L’articolo 31 impone a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le università e gli enti di ricerca, l’obbligo di collaborare con i servizi segreti (DIS, AISE, AISI), anche in deroga alle leggi sulla privacy. Questo significa che informazioni personali e sensibili potranno essere trasmesse ai servizi, senza il consenso degli interessati, e senza reali garanzie di tutela.

In pratica, si apre la strada a una sorveglianza diffusa, subdola, potenzialmente invasiva. Il senatore Roberto Scarpinato, ex magistrato antimafia, ha parlato chiaramente di una “schedatura di massa dei cittadini”. Ma la sua denuncia è rimasta isolata, sommersa dal frastuono artificiale su temi ben meno gravi.

Ancora più inquietante è il fatto che l’articolo 31 consenta ai servizi segreti di stipulare convenzioni anche con soggetti privati, bypassando le normative sulla protezione dei dati. E tutto questo avverrebbe al di fuori del controllo parlamentare: il COPASIR, l’organo che dovrebbe vigilare sull’operato dei servizi, ne resterebbe escluso. Una deriva autoritaria che si insinua silenziosamente, mentre il palcoscenico politico recita la farsa della “tolleranza zero”.

Maggioranza, opposizione e magistratura: il grande rimosso

È sconcertante – e inaccettabile – che né la maggioranza né l’opposizione abbiano sollevato obiezioni sostanziali su questa norma. Tutti troppo impegnati a litigare su misure propagandistiche, tutti troppo attenti a non urtare certi equilibri di potere.

E la magistratura? Le toghe, solitamente pronte a lanciare strali contro provvedimenti considerati “illiberali”, in questo caso tacciono. O peggio: si prestano al teatrino di contestare altre norme del decreto, del tutto marginali rispetto al pericolo sistemico dell’articolo 31.

Un silenzio complice

Questo silenzio, questo disinteresse calcolato, non è neutro. È complice. È il segnale di una classe dirigente – politica, istituzionale, mediatica – che ha smarrito il senso del limite, della proporzione, della responsabilità. In nome di una presunta sicurezza, si accetta l’introduzione di meccanismi che erodono i diritti fondamentali. Si apre la strada a un controllo sociale sempre più pervasivo, oscuro, incontrollabile.

L’articolo 31 non è una norma tecnica. È un colpo al cuore dello Stato di diritto. E chi oggi tace, chi lo ignora, chi lo minimizza, domani non potrà dirsi innocente.

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