Mentre il dibattito politico e mediatico si concentra su aspetti marginali del nuovo Decreto Sicurezza – come l’aumento delle pene per reati contro le forze dell’ordine o i provvedimenti sulle occupazioni abusive – un articolo ben più pericoloso scivola sotto silenzio. È l’articolo 31, un punto apparentemente tecnico, ma in realtà potenzialmente devastante per la tenuta democratica del Paese.
L’articolo 31: una minaccia per la libertà
L’articolo 31 impone a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le università e gli enti di ricerca, l’obbligo di collaborare con i servizi segreti (DIS, AISE, AISI), anche in deroga alle leggi sulla privacy. Questo significa che informazioni personali e sensibili potranno essere trasmesse ai servizi, senza il consenso degli interessati, e senza reali garanzie di tutela.
In pratica, si apre la strada a una sorveglianza diffusa, subdola, potenzialmente invasiva. Il senatore Roberto Scarpinato, ex magistrato antimafia, ha parlato chiaramente di una “schedatura di massa dei cittadini”. Ma la sua denuncia è rimasta isolata, sommersa dal frastuono artificiale su temi ben meno gravi.
Ancora più inquietante è il fatto che l’articolo 31 consenta ai servizi segreti di stipulare convenzioni anche con soggetti privati, bypassando le normative sulla protezione dei dati. E tutto questo avverrebbe al di fuori del controllo parlamentare: il COPASIR, l’organo che dovrebbe vigilare sull’operato dei servizi, ne resterebbe escluso. Una deriva autoritaria che si insinua silenziosamente, mentre il palcoscenico politico recita la farsa della “tolleranza zero”.
Maggioranza, opposizione e magistratura: il grande rimosso
È sconcertante – e inaccettabile – che né la maggioranza né l’opposizione abbiano sollevato obiezioni sostanziali su questa norma. Tutti troppo impegnati a litigare su misure propagandistiche, tutti troppo attenti a non urtare certi equilibri di potere.
E la magistratura? Le toghe, solitamente pronte a lanciare strali contro provvedimenti considerati “illiberali”, in questo caso tacciono. O peggio: si prestano al teatrino di contestare altre norme del decreto, del tutto marginali rispetto al pericolo sistemico dell’articolo 31.
Un silenzio complice
Questo silenzio, questo disinteresse calcolato, non è neutro. È complice. È il segnale di una classe dirigente – politica, istituzionale, mediatica – che ha smarrito il senso del limite, della proporzione, della responsabilità. In nome di una presunta sicurezza, si accetta l’introduzione di meccanismi che erodono i diritti fondamentali. Si apre la strada a un controllo sociale sempre più pervasivo, oscuro, incontrollabile.
L’articolo 31 non è una norma tecnica. È un colpo al cuore dello Stato di diritto. E chi oggi tace, chi lo ignora, chi lo minimizza, domani non potrà dirsi innocente.
ormai siamo tutti potenziali criminali infatti tutti devono lasciare le impronte digitali per ottenere un documento di riconoscimento.
E’ da un po’ che non c’è più nessuna democrazia, ammesso che ci sia mai stata
C’è un problema di fondo: governo democratico e servizi segreti sono incompatibili. La democrazia è il governo che agisce in pubblico e si sottopone al giudizio pubblico, è il potere visibile su cui i cittadini esercitano il loro controllo accordandogli o negandogli periodicamente il loro consenso. Al contrario, i servizi segreti sono un potere che tende a rendersi invisibile e a operare tanto più efficacemente quanto più è nascosto. Come possono i cittadini controllare un potere che non vedono e la cui peculiarità consiste proprio nello sfuggire ad ogni possibile controllo? I teorici del sistema democratico hanno tentato di superare questa evidente contraddizione ammettendo che, se nell’autocrazia la segretezza è la norma, nella democrazia è l’eccezione e deve comunque essere rigorosamente limitata dalla legge.
Ora, venendo al problema specifico, non soltanto questo “decreto sicurezza” non prevede misure adeguate per impedire ai servizi segreti di travalicare i compiti ad essi attualmente conferiti, ma con l’articolo 31 dà loro la facoltà di dirigere strutture illegali (tradotto: gli consente di delinquere) a condizione che ne sia informato il capo del governo. E non è tutto: dà loro anche la possibilità di spiare senza alcuna limitazione ogni singolo cittadino attraverso le intercettazioni preventive e la condivisione dei dati personali raccolti dalle amministrazioni pubbliche.
E’ così che, un po’ alla volta, si passa dalla democrazia all’autocrazia, dal potere di controllo dei cittadini al controllo dei cittadini da parte del Potere! Ma la cosa peggiore non è tanto la complicità della nostra classe dirigente quanto l’acquiescenza a questa deriva securitaria di tanta parte del popolo. Diceva Benjamin Franklin: “Chi è disposto a rinunciare alle proprie libertà fondamentali per briciole di sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza”… e, mi permetto di aggiungere, le perderà entrambe!
Ottimo Massimo ! Quanto aveva ragione Benjamin Franklin !