di Luigi Cortese

C’è un limite, anche nella politica italiana, tra il lecito e l’indecente. E Daniela Santanchè sembra averlo superato con una leggerezza sconcertante. La ministra del Turismo – sì, proprio colei che dovrebbe promuovere il patrimonio italiano con sobrietà e senso istituzionale – si è fatta pagare una vacanza al Twiga, il lussuoso stabilimento balneare dell’amico Flavio Briatore, dalla sua società quotata in Borsa, Visibilia. Una fattura da 26.900 euro, scontata del 30%, come se il privilegio avesse bisogno di ulteriori sconti.

Siamo nell’estate del 2014, quando Santanchè – allora parlamentare di Forza Italia – si godeva il sole e i cocktail di Marina di Pietrasanta insieme al compagno dell’epoca Alessandro Sallusti e ad amici altolocati. Nulla di male, se non fosse che a pagare il conto non era lei, ma un’azienda con bilanci tutt’altro che solidi, in cui era azionista e amministratrice. Una società usata, secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, come un vero e proprio bancomat personale.

Visibilia sborsava quasi 300 euro al giorno per mantenere il tenore di vita di Santanchè e dei suoi ospiti: oltre 11.000 euro in pranzi e cene, quasi 3.000 per la scorta (che almeno lavorava), e un figlio, Lorenzo Mazzaro, che tra ristoranti e discoteche raggiungeva picchi da rampollo da jet set. Chi pagava davvero per tutto questo? I soci di minoranza della società. Investitori e risparmiatori che si ritrovavano, a loro insaputa, a finanziare i mojito estivi della ministra.

Ma la questione va oltre la cifra o il fasto della vacanza. È un perfetto esempio di conflitto di interessi, quello vero, quello strutturale. Santanchè era socia sia di Visibilia che – seppur in minoranza – del Twiga. Una mano lava l’altra, e le due insieme si spartiscono il conto, che poi finisce sulle spalle di chi ci aveva creduto in Visibilia. Con buona pace della trasparenza, dell’etica d’impresa e, soprattutto, della credibilità politica.

In un Paese normale, un comportamento del genere – l’uso di risorse aziendali per fini personali, spacciati per spese d’affari – avrebbe generato immediate dimissioni. In Italia, invece, si continua a far finta di nulla. Santanchè è ancora al suo posto, con il sorriso sicuro di chi sa che in fondo, anche stavolta, la passerà liscia.

Ma chi ha un minimo di rispetto per le regole, per i soldi degli altri, per la decenza pubblica, non può restare indifferente. Perché se è normale che un politico usi una società in crisi per pagarsi le vacanze, allora non lamentiamoci più del disincanto degli italiani verso le istituzioni. Santanchè non ha solo pagato un conto salato con soldi non suoi. Ha presentato il conto a tutti noi.

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