di Daniele Trabucco
Il sacrificio redentore di Cristo sulla Croce rappresenta l’asse portante dell’intero edificio dottrinale cristiano. Lungi dall’essere un mero dato devozionale o una contingenza storica, esso si configura come atto assolutamente necessario “ex convenientia”, ovvero perfettamente conforme alla sapienza divina, in quanto solo in esso si realizza in modo pieno la riconciliazione tra l’uomo e Dio. L’analisi della necessità del sacrificio del Verbo incarnato implica un confronto serrato tra i livelli della riflessione filosofica, dell’elaborazione teologica e dell’esegesi biblica, che concorrono a chiarire il senso e il valore salvifico dell’evento pasquale. Sul piano filosofico, l’esigenza di una riparazione adeguata per l’offesa arrecata a Dio dall’uomo si inscrive nella logica della giustizia naturale. Il peccato, quale atto volontario contrario all’ordine razionale e all’essere stesso di Dio, implica una disuguaglianza morale che dev’essere ristabilita. Tuttavia, essendo Dio infinitamente perfetto, la colpa dell’uomo assume una gravità proporzionalmente infinita, rispetto alla quale nessuna creatura finita può offrire una satisfactio sufficiente. Soltanto una Persona divina, unita ipostaticamente alla natura umana, poteva offrire un atto redentore di valore illimitato. Da qui deriva la coerenza razionale dell’Incarnazione ordinata alla Passione: il Cristo, in quanto vero uomo, può soffrire e morire; in quanto vero Dio, può attribuire a tale sofferenza un valore salvifico universale. Teologicamente, la riflessione tomista offre una sistematizzazione mirabile di tale mistero. San Tommaso d’Aquino, nella “Summa Theologiae” (III, q. 1 ss.), sostiene che la redenzione per mezzo della Croce non era l’unico mezzo possibile per Dio, ma era il mezzo più conveniente, in quanto capace di manifestare simultaneamente tutte le perfezioni divine: la giustizia, che esige la riparazione del peccato; la misericordia, che si china sull’uomo senza annullare la sua libertà; la sapienza, che ordina ogni cosa al fine più alto. La morte di Cristo, pertanto, non è un episodio isolato, bensì il culmine del disegno salvifico, in cui la libertà divina e la libertà umana convergono in un atto di amore oblativo perfetto. Il “sacrificium crucis” è anche modello ontologico della vita cristiana, poiché introduce nel cuore della storia una logica di redenzione che trasfigura la sofferenza e la morte in strumento di salvezza, andando al di lá della dimensione riparativa. La Scrittura, infine, conferma e illumina con autorità rivelata questa verità. L’Antico Testamento è tutto un progressivo disvelamento del paradigma sacrificale: l’Agnello pasquale, i sacrifici espiatori, la figura del Servo sofferente di Isaia delineano un orizzonte in cui il Messia redentore appare come colui che si carica del peccato del popolo e lo espia con la propria vita. Il Nuovo Testamento, in continuità tipologica, mostra in Cristo il compimento delle promesse veterotestamentarie: l’autodonazione eucaristica (“questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”) e il dono della vita sulla Croce costituiscono il centro dell’evento pasquale. La Lettera agli Ebrei, in particolare, ne esplicita la dimensione cultuale e sacerdotale, presentando Cristo come Sommo Sacerdote che entra nel vero santuario celeste per offrire sé stesso, non il sangue di vittime animali, ottenendo così una redenzione definitiva e perfetta una volta per tutte. Questa visione integrale fu lucidamente compresa e difesa da san Pio X, pontefice di profondissima dottrina e acutissimo discernimento spirituale. In un’epoca segnata dall’offuscamento del senso del peccato e dalla tendenza a ridurre il cristianesimo a etica filantropica, egli riaffermò con forza la centralità del sacrificio di Cristo quale fondamento teologico e liturgico della fede. Il suo programma di riforma, sintetizzato nel motto “Instaurare omnia in Christo”, trova nella Croce non solo il principio salvifico, ma anche il criterio interpretativo della realtà storica e sociale. Promuovendo il culto eucaristico, la catechesi sacramentale e la formazione dottrinale, san Pio X intese restituire alla Chiesa la consapevolezza della sua identità redenta, fondata non sul compromesso con il mondo, ma sulla partecipazione reale al mistero del Crocifisso, da cui sgorga ogni autentica civiltà cristiana.
Il cristianesimo non è un insieme di riti religiosi e di precetti morali, ma è il “buon annunzio” di Gesù Cristo, seconda Persona della Santissima Trinità, che è entrato fisicamente nella storia umana per redimere l’umanità dal peccato e per indicare ad essa la via della salvezza eterna presso il Padre celeste. Ma la via della redenzione – per le ragioni magistralmente spiegate dal professor Trabucco – passa per la croce: la croce di Cristo, innanzitutto; e, dopo, la croce liberamente assunta dai cristiani. Sì, perché i cristiani sono chiamati a rispondere all’invito di Cristo, sono chiamati a proseguire in sé stessi, nelle loro persone e nelle loro vite, la sua opera salvifica. Gesù, infatti, non è venuto a redimere dei burattini, ma degli uomini vivi, dotati di libero arbitrio, a cui chiede un pieno assenso alla sua missione redentrice. Non li vuole salvare per forza, non li vuole redimere contro la loro volontà… Il suo amore è così grande da accettare anche un eventuale rifiuto. Rifiutare la croce è come rifiutare Gesù, è come rifiutare la sua Redenzione. All’uomo, senza la croce, non resta più il vero Gesù, resta solo uno dei tanti uomini saggi che hanno detto una buona parola nel corso della storia, ma nessuno di loro ha mai redento qualcuno, perché gli uomini non possono darsi la salvezza da sé: possono solo riceverla dal loro Creatore.