Mentre in Parlamento infuriano le polemiche sull’articolo 18 del decreto sicurezza — quello che vieta la vendita della canapa legale e che il Partito Democratico paragona addirittura al proibizionismo fascista — nessuno sembra accorgersi del vero cuore autoritario del provvedimento: l’articolo 31. E il silenzio è trasversale. Tanto la maggioranza che lo ha scritto quanto l’opposizione che dovrebbe contrastarlo tacciono in modo imbarazzante.
Il PD, che si strappa le vesti per difendere la cannabis light, arriva a citare Mussolini pur di fare scena. Ma quando si tratta dell’articolo 31, che concede ai servizi segreti l’accesso illimitato a tutte le banche dati dello Stato — comprese quelle giudiziarie — improvvisamente cala il sipario. Nessun intervento in aula, nessuna conferenza stampa, nessun appello alla Costituzione. Il partito che dice di voler difendere le libertà civili resta muto proprio davanti al rischio più grave per la privacy dei cittadini.
E il governo? Peggio ancora. L’articolo 31 è stato approvato in commissione in un clima di totale opacità, con la volontà chiara di rafforzare l’intelligence interna a scapito di ogni garanzia. È un salto nel buio verso un modello di sorveglianza che ricorda più il KGB che uno Stato di diritto. L’idea che i servizi possano accedere a dati sensibili senza controlli democratici è semplicemente incompatibile con qualsiasi principio liberale. Ma chi è al potere fa finta di nulla, convinto che basti invocare la “sicurezza” per legittimare qualsiasi abuso.
Neppure il mondo accademico è stato risparmiato: con l’articolo 31, università e centri di ricerca potrebbero essere obbligati a collaborare con i servizi, trasformandosi di fatto in strumenti di raccolta dati per l’apparato statale. Un colpo durissimo alla libertà di ricerca e all’autonomia intellettuale. Eppure, di nuovo, il silenzio domina.
In un Paese serio, un simile provvedimento scatenerebbe l’opposizione compatta di tutte le forze democratiche. In Italia, invece, si preferisce litigare sulla canapa mentre si firma in silenzio la legittimazione di una sorveglianza pervasiva. È una vergogna bipartisan che merita di essere denunciata senza mezzi termini.
L’articolo 31 non è solo una norma pericolosa: è un test di democrazia. E la nostra classe politica lo sta fallendo miseramente.
Sull’articolo 31 del Decreto legge Sicurezza c’è una (parziale) buona notizia e una cattiva.
La (parziale) buona notizia: è stato eliminato l’obbligo per le Amministrazioni Pubbliche e le università di fornire i dati personali raccolti ai servizi segreti; la collaborazione con le agenzie d’intelligence sarà facoltativa. Sottolineo che si tratta solo parzialmente di una buona notizia perché, conoscendo il grado di servilismo dei nostri funzionari pubblici, sono certo che la stragrande maggioranza di loro intenderà la facoltà come un obbligo inderogabile, trincerandosi dietro il motto “tengo famiglia”.
La cattiva notizia: resta in piedi l’autorizzazione data agli agenti dei servizi segreti di dirigere strutture illegali, cioè di delinquere (per il nostro bene, s’intende).
Per approfondire, questo è il link:
brigatafolgore.net/decreto-sicurezza-salta-lobbligo-per-le-pa-di-collaborare-con-i-servizi-segreti/
Bisognerebbe spostare il focus anche sulle nuove tecnologie e l’uso improprio che si potrebbe fare di queste da parte di ambienti loschi. Come più volte segnalato da altri, anche i dispositivi di videosorveglianza o dispositivi dotati di audio bidirezionale potrebbero diventare oggetto di uso delinquenziale ed extragiudiziario. Infatti, piuttosto che essere usati davvero per la repressione attiva del crimine, potrebbero diventare oggetto o mezzo di crimini informatici contro terzi ed essere usati, per così dire, da cani e porci o dagli stessi delinquenti. È il caso di alcuni Paesi europei, dove sono stati arrestati anche esponenti delle forze dell’ordine, che usavano le videocamere di videosorveglianza per commettere reati. Hacker, invece, si intromettevano in dispositivi per bambini dotati di altoparlante. Casi accaduti in alcuni paesi già diversi anni fa. Bisogna fare attenzione a tutte queste cose, poiché potrebbero essere usati contro la nostra privacy ed in maniera illegale e per fini illeciti. Una volta era più difficile commettere reati.
Oggi, si potrebbero commettere nuove tipologie di reati, persino uccidere e compromettere persino l’individuazione di colpevoli attraverso l’uso illecito di nuovi strumenti, che, invece, dovrebbero essere di pubblica utilità o di pubblica sicurezza e, tutelare, al contrario la libertà. Chi commette dei reati, al contrario,deve subire una punizione certa e sapere di subirla.
Mai, come oggi, è a rischio la nostra libertà, la nostra serenità, la nostra umanità.