di Luigi Cortese

In un momento in cui la Striscia di Gaza è ridotta in macerie e il bilancio umano si aggrava di ora in ora, Hamas ha compiuto un passo sorprendente: un alto funzionario della milizia islamica ha annunciato all’Afp la disponibilità a liberare tutti gli ostaggi ancora trattenuti a Gaza in cambio della fine della guerra e di una tregua di cinque anni. Un’apertura storica, che potrebbe mettere fine a mesi di devastazione e sofferenza, ma che finora ha incontrato solo il silenzio da parte di Israele.

Non si tratta di una proposta qualsiasi: Hamas offre il rilascio completo degli ostaggi, una delle principali giustificazioni che Israele ha utilizzato per legittimare la sua offensiva brutale. In cambio, chiede una tregua duratura, una possibilità di ricostruire, di respirare dopo un assedio disumano che sta spingendo il popolo palestinese sull’orlo dell’annientamento.

Oggi una delegazione di Hamas arriverà al Cairo per tentare di negoziare i dettagli di un accordo di cessate il fuoco. Eppure, nonostante la portata potenzialmente salvifica di questa proposta, da parte del governo israeliano non è arrivata alcuna risposta. Nessun segnale di apertura, nessun commento ufficiale. Solo un silenzio pesante, che sa di rifiuto.

Israele si trova di fronte a una scelta cruciale: accettare una via diplomatica che permetterebbe di salvare vite — israeliane e palestinesi — oppure proseguire nella sua opera di distruzione, dimostrando al mondo che la guerra, e non la pace, è il vero obiettivo perseguito. La mancata risposta fino a questo momento è un chiaro indizio: chi non coglie la mano tesa dell’avversario, chi ignora un’opportunità concreta di cessare le ostilità, si assume la piena responsabilità di ogni altra vittima che verrà.

Non si può più nascondere: Israele non sta combattendo per la sicurezza. Sta combattendo per annientare il popolo palestinese, e ogni proposta di tregua rischia di smascherare questa verità scomoda. Per questo il silenzio, per questo la riluttanza a negoziare.

Nel frattempo, a Gaza si continua a morire. E ogni ora di ritardo, ogni bomba che cade, ogni bambino che perde la vita, pesa come una condanna su chi, potendo scegliere la pace, sceglie la guerra.

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