di Luigi Cortese e Oliver Budai

Nel giugno 2022, durante un intervento presso l’Università israeliana Ben-Gurion del Negev, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha affermato che “la storia dell’Europa è la storia del popolo ebraico” e ha fatto riferimento al Talmud come a un “libro dei valori europei”. Parole che hanno suscitato reazioni controverse, specialmente tra coloro che conoscono il significato profondo delle radici culturali e spirituali dell’Europa e che si interrogano sulla coerenza di tali affermazioni con la realtà storica e religiosa del continente.

L’identità europea, infatti, è nata e si è sviluppata in un humus profondamente cristiano. Le sue cattedrali, le università medievali, il pensiero filosofico, l’arte, il diritto e persino l’idea stessa di dignità della persona umana sono figli della visione cristiana dell’uomo e del mondo. L’eredità greco-romana fu reinterpretata e trasformata attraverso il Vangelo, che ha permeato il continente per secoli, dando forma alla sua civiltà.

A differenza di altre religioni, il cristianesimo ha introdotto concetti rivoluzionari: la distinzione tra potere spirituale e temporale, l’universalità della salvezza, la carità come fondamento del vivere sociale. Questi valori non sono astratti o moderni adattamenti, ma elementi che hanno plasmato la struttura delle società europee per oltre un millennio. Non si può parlare di Europa senza ricordare figure come Benedetto da Norcia, patrono del continente, o San Tommaso d’Aquino e Francesco d’Assisi. Né si possono ignorare i martiri cristiani, i santi, i pensatori e i missionari che hanno evangelizzato popoli, alfabetizzato intere regioni e fondato scuole e ospedali. Questa è l’identità storica dell’Europa, ed è in netta discontinuità con le radici talmudiche a cui von der Leyen sembra volerla collegare.

Il Talmud, d’altronde, è una raccolta di commentari e discussioni rabbiniche sulla legge ebraica, redatta in forma definitiva tra il III e il V secolo. È un testo fondamentale per l’ebraismo rabbinico, ma profondamente interno a quella tradizione e spesso distante, se non apertamente ostile, rispetto al messaggio cristiano. In diversi passaggi, i cristiani (indicati come minim, cioè eretici) sono trattati in termini dispregiativi, e anche la figura di Gesù è oggetto di giudizi pesanti, talvolta impliciti, talvolta espliciti. È un testo che va studiato con attenzione storica e teologica, ma è fuorviante e improprio attribuirgli una funzione rappresentativa dei valori su cui si fonda l’Europa.

Per esempio, le “18 benedizioni” della preghiera ebraica, nella versione post-70 d.C., contengono una maledizione contro i minim, interpretata da numerosi studiosi come riferita anche ai cristiani. Questo elemento da solo basterebbe a mostrare la distanza che intercorre tra la visione talmudica e quella evangelica. Laddove il Talmud preserva un’identità giuridico-religiosa interna e in parte escludente, il Vangelo apre a tutti i popoli, annunciando una salvezza universale. Laddove il cristianesimo predica l’amore per i nemici e la conversione del cuore, il legalismo talmudico tende alla conservazione della legge mosaica come esclusivo vincolo d’identità.

Un ulteriore punto da chiarire riguarda la distinzione tra Europa e Unione Europea. L’UE è un progetto istituzionale, economico e amministrativo relativamente recente, mentre l’Europa è un’identità storica, culturale e spirituale che affonda le sue radici nel cristianesimo. Non è la burocrazia di Bruxelles a definire l’essenza del continente, né i discorsi politici ne possono riscrivere la memoria. Quando si evoca il Talmud come fonte dei valori europei, si compie un’operazione ideologica che riscrive la storia e rischia di cancellare secoli di identità vissuta, spesso anche con il sangue dei martiri cristiani.

L’Europa è cristiana non solo per storia, ma per forma mentis, per visione dell’uomo, per senso della vita. Essa può dialogare con l’ebraismo e con altre religioni, ma non può rinnegare se stessa. E per quanto alcuni ambienti politici possano tentare di farlo, la memoria profonda dei popoli non si cancella facilmente.

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