di Luigi Cortese

Negli ultimi giorni stanno circolando notizie sempre più frequenti riguardo alla partecipazione di agenti della Polizia Penitenziaria a elezioni locali tramite la creazione di liste elettorali senza alcuna rappresentatività, nate non tanto per reali ambizioni politiche, quanto per ottenere il congedo retribuito previsto dalla legge per i candidati alle elezioni. Una pratica che solleva più di una perplessità, sia dal punto di vista dell’equità tra i lavoratori del settore pubblico, sia per il corretto funzionamento del sistema democratico.

Il congedo elettorale retribuito è previsto dalla normativa per favorire la partecipazione alla vita politica, ma di fatto, nel caso di alcune categorie – in particolare nella Polizia Penitenziaria – si è trasformato in un vero e proprio escamotage per ottenere settimane o addirittura mesi lontani dal servizio, mantenendo lo stipendio. Questo privilegio non è però esteso a tutti i dipendenti pubblici, creando una palese disparità di trattamento tra lavoratori dell’amministrazione statale.

Peggio ancora, emerge un quadro preoccupante di “liste ad hoc”, composte da agenti che non hanno alcuna reale intenzione di svolgere un mandato politico, ma che si candidano unicamente per usufruire del congedo. Liste costruite su misura, in piccoli comuni dove la soglia di presentazione è minima, con programmi inconsistenti o assenti. Una strategia che mina la credibilità delle elezioni locali, introduce distorsioni nel sistema democratico e offende chi si impegna con serietà nella rappresentanza politica.

In un periodo in cui si invoca meritocrazia, trasparenza e rigore nella gestione della cosa pubblica, questa anomalia appare inaccettabile. Da una parte, si crea un vantaggio indebito per una categoria; dall’altra, si abusa di una norma pensata per garantire partecipazione, trasformandola in uno strumento di comodo personale.

È urgente che il legislatore intervenga: sia per rivedere le condizioni che permettono l’accesso al congedo elettorale retribuito, sia per garantire parità di trattamento tra tutti i dipendenti pubblici. La partecipazione politica è un diritto fondamentale, ma non può essere trasformata in una scorciatoia per aggirare il dovere lavorativo, né può alimentare pratiche opportunistiche che minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Share via
Copy link
Powered by Social Snap