di Luigi Cortese

La sentenza del Tribunale di Campobasso (n. 375/2025) rappresenta uno stop netto al recente tentativo del Governo di restringere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis. Con una decisione chiara e motivata, i giudici hanno ribadito che il nuovo Decreto-Legge n. 36/2025 non può essere applicato retroattivamente, respingendo così la linea dura imposta dall’esecutivo.

Il decreto, entrato in vigore il 29 marzo, impone che solo chi ha un genitore o un nonno nato in Italia possa accedere alla cittadinanza per discendenza. Un taglio netto che ignora la storia dell’emigrazione italiana e mette da parte il legame con milioni di discendenti all’estero. Il caso esaminato dal tribunale riguardava cittadini americani discendenti da una bisnonna italiana mai naturalizzata altrove, la cui richiesta era stata depositata prima dell’entrata in vigore del decreto.

Il Ministero dell’Interno, tentando di bloccare il procedimento, aveva chiesto la sospensione in attesa della Corte Costituzionale. Ma i giudici hanno bocciato l’argomentazione, riaffermando che le nuove norme non possono cancellare diritti acquisiti o compromettere pratiche avviate nel rispetto della normativa precedente.

La decisione del Tribunale non è solo una vittoria per i ricorrenti, ma una ferma critica al decreto stesso, che rischia di diventare un simbolo di chiusura identitaria e miopia politica. Limitare la cittadinanza iure sanguinis significa tagliare il filo che lega l’Italia alla sua diaspora, con una norma che appare più ideologica che giuridica.

Il diritto non può essere piegato alla propaganda. E la giustizia, per ora, ha ricordato al Governo i limiti del suo potere.

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