di Luigi Cortese

Dopo anni di guerra e diplomazia congelata, Russia e Ucraina si sono sedute nuovamente al tavolo delle trattative. A Istanbul si è tenuto oggi un incontro tra le delegazioni dei due Paesi, il primo faccia a faccia diretto di questo livello dal 2022. Sebbene l’appuntamento non abbia prodotto svolte concrete, rappresenta un timido segnale di apertura. Eppure, ciò che avrebbe potuto essere un momento delicato di distensione è stato immediatamente avvelenato dal tono bellicoso dell’Unione Europea e di alcuni suoi membri, sempre più simili a incendiari travestiti da pompieri.

Incontri senza i leader, ma con parole pesanti

L’incontro, durato circa un’ora, ha visto la partecipazione di figure di alto profilo, ma non dei rispettivi presidenti. Per la Russia erano presenti il consigliere presidenziale Vladimir Medinsky, il viceministro degli Esteri Mikhail Galuzin, il viceministro della Difesa Aleksandr Fomin e il capo dell’intelligence militare Igor Kostyukov. A rappresentare Kiev c’era il ministro della Difesa Rustem Umerov.

L’assenza di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky ha sollevato critiche e sospetti, con il presidente ucraino che ha accusato Mosca di non voler realmente la pace. Tuttavia, la presenza di rappresentanti militari e diplomatici dimostra che entrambe le parti sono pronte – almeno formalmente – a discutere. L’Ucraina ha chiesto un cessate il fuoco immediato e il ritiro delle truppe russe dai territori occupati. La Russia, di contro, ha parlato di “nuove realtà territoriali” da riconoscere, ribadendo il proprio punto di vista sullo status delle aree contese.

L’Europa getta benzina sul fuoco

Ma mentre a Istanbul si parlava di tregua, a Bruxelles si parlava di sanzioni. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non ha perso occasione per attaccare il Cremlino, affermando che l’assenza di Putin testimonia il suo disinteresse per la pace e preannunciando nuove misure punitive contro Mosca. Una dichiarazione che ha il sapore della propaganda e che, ancora una volta, dimostra l’incapacità – o la mancata volontà – dell’Europa di giocare un ruolo da vera mediatrice.

Invece di sostenere un processo diplomatico già di per sé fragile, i vertici dell’UE sembrano voler sabotare ogni spiraglio di dialogo, alimentando la logica dello scontro. Più che cercare soluzioni, Bruxelles pare interessata a mantenere lo stato di guerra per ragioni geopolitiche e industriali, a cominciare dalla corsa al riarmo. Gli Stati membri, anziché moderare i toni, continuano ad allinearsi alla retorica della contrapposizione, contribuendo a mantenere alta la tensione e prolungare il conflitto.

Gli USA tentano un’altra via?

In contrasto, almeno a parole, si pone il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha dichiarato la propria intenzione di incontrare Putin “non appena possibile”, sottolineando l’urgenza di un dialogo diretto tra le grandi potenze per fermare l’escalation. Un’iniziativa che, per quanto controversa, appare più concreta di molte delle dichiarazioni roboanti europee, svuotate di ogni realismo.

Conclusione: la pace richiede silenzio, non proclami

I colloqui di Istanbul, pur senza risultati concreti, avrebbero dovuto essere accolti come un passo necessario verso una possibile de-escalation. Ma l’Europa, anziché favorire la diplomazia, continua a soffiare sul fuoco della guerra con dichiarazioni aggressive e decisioni che spingono verso lo scontro. Mentre Mosca e Kiev – con mille ambiguità – cercano almeno di parlarsi, Bruxelles si erge a paladina della guerra per procura, dimenticando che la pace non si costruisce con sanzioni, ma con il silenzio, la pazienza e la diplomazia.

Se davvero l’Unione Europea vuole rivendicare un ruolo geopolitico autonomo, deve smettere di agire da eco dell’atlantismo più rigido e iniziare a fare ciò che per ora non ha mai fatto: costruire la pace.

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