di Luigi Cortese

Negli ultimi anni, stiamo assistendo a un fenomeno tanto preoccupante quanto silenziosamente accettato: la normalizzazione della vendita di immagini e video intimi su piattaforme digitali come OnlyFans. Quella che un tempo sarebbe stata considerata pornografia a pagamento, oggi viene mascherata da “empowerment femminile”, “autonomia economica” o “libertà di espressione sessuale”. In realtà, si tratta dell’ennesimo segnale della profonda crisi morale che attraversa la nostra società.

Dalla vergogna al vanto

Una volta, l’intimità era qualcosa di sacro, condivisa nella riservatezza del matrimonio o comunque protetta da un senso di pudore e dignità. Oggi, con un semplice abbonamento mensile, chiunque può accedere a contenuti che sviliscono il corpo umano, trasformando la persona in un prodotto da vendere al miglior offerente. Quello che un tempo era ritenuto prostituzione, ora viene digitalizzato, monetizzato e presentato come una scelta legittima e persino ammirevole.

Il linguaggio usato per descrivere questo fenomeno è parte integrante del problema: si parla di “creatori di contenuti”, si celebra la “libertà di monetizzare il proprio corpo” come se fosse un traguardo di civiltà. Ma dietro questa narrazione si nasconde una realtà fatta di sfruttamento, perdita del senso del pudore, alienazione affettiva e una crescente incapacità delle nuove generazioni di riconoscere il valore della persona al di là dell’apparenza fisica.

La decadenza della famiglia e l’abbandono dell’educazione cattolica

Questo declino morale non nasce nel vuoto: è figlio di un progressivo abbandono dei valori cristiani e dell’educazione cattolica, un tempo pilastri della famiglia e della società. La figura dei genitori come guide spirituali, morali e culturali è stata svuotata, ridotta a un ruolo passivo di “supporto emotivo”, mentre la cultura dominante – veicolata dai social, dalla TV, dalla scuola laicizzata – plasma i giovani con modelli di vita superficiali e disumanizzanti.

Le famiglie, disorientate e spesso disgregate, non trasmettono più l’importanza della castità, del rispetto del corpo, del significato profondo della sessualità come dono e non come merce. L’educazione religiosa è stata relegata ai margini della vita familiare e scolastica, considerata superata, inutile o addirittura repressiva. Ma senza Dio, senza un riferimento trascendente, l’uomo perde il senso di sé stesso, della sua dignità, del suo fine ultimo.

Verso una società spersonalizzata

Stiamo creando una generazione che misura il proprio valore in “like”, in abbonamenti, in esposizione. Una società in cui l’identità viene ridotta a una vetrina virtuale e dove il corpo, svuotato della sua sacralità, diventa oggetto di consumo. Tutto questo porta a un impoverimento spirituale e culturale che mina le basi stesse del vivere civile.

Chi critica queste derive viene spesso etichettato come moralista, retrogrado o fuori dal tempo. Ma forse è proprio questo il compito del cristiano oggi: essere segno di contraddizione, voce che grida nel deserto, testimone di una verità che non cambia con le mode del tempo. Non si tratta di giudicare le persone, ma di denunciare un sistema che disumanizza e distrugge.

Conclusione

È tempo di una riflessione profonda. La strada su cui ci siamo incamminati, quella della mercificazione del corpo e della cancellazione dei valori cristiani, non porta alla libertà, ma alla schiavitù: schiavitù del desiderio, del denaro, dell’approvazione altrui. Se vogliamo risollevare le sorti della nostra società, dobbiamo tornare a educare al valore della persona, alla bellezza della purezza, alla forza della fede.

Solo così potremo costruire una cultura della vita, della dignità e dell’amore autentico.

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