di Luigi Cortese

La notizia che l’attrice britannica Cynthia Erivo interpreterà Gesù Cristo nella prossima produzione del musical Jesus Christ Superstar al prestigioso Hollywood Bowl ha sollevato una comprensibile ondata di sdegno tra i fedeli cattolici e i cristiani di ogni confessione. Un gesto che non può essere letto se non come un deliberato affronto alla figura sacra del nostro Redentore.

La scelta di Erivo, attrice nera e dichiaratamente queer, nel ruolo di Gesù non è una semplice operazione teatrale o un esperimento artistico: è l’ennesima forzatura dettata dalla dittatura del politicamente corretto. Come se non bastasse, la stessa attrice ha definito il musical “il posto più gay sulla Terra”, parole che suonano come un pugno allo stomaco per chi vede in Cristo non un’icona culturale da manipolare, ma il Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo.

È legittimo, allora, indignarsi e sollevare la voce: la decisione di rappresentare Gesù Cristo con una figura che per biologia e identità contraddice la realtà storica e la dottrina cristiana è un atto di profanazione. In nessun’altra religione si permetterebbe una simile libertà senza suscitare proteste ben più veementi. Ma quando si tratta del cristianesimo – e ancor più del cattolicesimo – tutto sembra lecito, tutto sembra sacrificabile sull’altare dell’inclusività.

La regia dello spettacolo è affidata a Sergio Trujillo, mentre la direzione musicale sarà curata da Stephen Oremus. Ma il messaggio lanciato da questa produzione non è artistico, bensì ideologico: Gesù non è più il Salvatore, il Figlio dell’Eterno, il Crocifisso risorto per la salvezza dell’uomo. È ridotto, invece, a simbolo fluido, adattabile, piegato ai capricci di una cultura che ha smarrito ogni riferimento al sacro.

La scelta di Cynthia Erivo nel ruolo di Gesù in “Jesus Christ Superstar” è un affronto alla fede cristiana e alla sacralità del nostro Redentore. Non si tratta di un’esagerazione né di un rigurgito “reazionario”: è il grido di chi ancora crede che alcune cose siano troppo sacre per essere strumentalizzate, che la fede non è materia di spettacolo, che Cristo non è un personaggio da riscrivere per compiacere mode passeggere.

È tempo che il mondo cattolico, spesso silenzioso di fronte a queste provocazioni, ritrovi il coraggio di testimoniare pubblicamente la propria fede. Non per odio, ma per amore della verità. Non per bigottismo, ma per difendere ciò che ha valore eterno. La nostra fede non è teatro. E Gesù Cristo non è una maschera da interpretare, ma il Signore da adorare.

Chi ha orecchie per intendere, intenda.

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