di Luigi Cortese

L’operazione militare americana contro tre siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz e Isfahan – è stata presentata da Washington come una risposta dura e decisa alle provocazioni di Teheran. Ma a poche ore dall’attacco, emergono particolari che sollevano più dubbi che certezze. I tre obiettivi strategici sono stati colpiti da bombe bunker-buster e missili Tomahawk, ma non si registrano vittime, né contaminazioni radioattive. Le strutture colpite risultano danneggiate, ma non compromesse nelle loro funzioni principali.

Obiettivi già svuotati?

Secondo analisti internazionali, tra cui esperti dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici, le installazioni colpite erano probabilmente già state evacuate da Teheran nelle ore precedenti all’attacco. Le immagini satellitari mostrano impatti su edifici secondari, ma non danni evidenti alle aree sotterranee dove si trovano le centrifughe e i materiali sensibili. Tutto fa pensare a un attacco più spettacolare che concreto.

Una “guerra di facciata”?

Alcuni osservatori ipotizzano che l’attacco sia stato tacitamente concordato. Gli Stati Uniti avrebbero avvisato Teheran per tempo, permettendole di mettere in salvo uomini e materiali. Così, Washington si garantisce l’effetto scenico e la credibilità internazionale, mentre Teheran può gridare all’aggressione senza dover realmente subire conseguenze.

In sostanza: colpire senza ferire, esibire forza senza rischiare la guerra.

Il silenzio dell’Occidente e la retorica iraniana

Teheran, dopo l’attacco, ha lanciato le consuete dichiarazioni contro “l’imperialismo americano”, ma senza reagire militarmente. Nessun lancio di missili, nessuna minaccia reale di escalation. Allo stesso modo, l’Occidente ha mantenuto toni prudenti: l’ONU ha parlato di “pericolosa escalation”, mentre Russia e Cina hanno criticato l’operazione come un atto destabilizzante.

L’Italia, come al solito, ha evitato ogni presa di posizione, rimanendo nel solco dell’obbedienza atlantica.

Israele osserva, ma resta insoddisfatta

Israele, da mesi impegnata in pressioni diplomatiche per fermare il programma nucleare iraniano, non ha accolto con entusiasmo l’esito dell’attacco. Il raid non ha fermato il programma nucleare, né ha inflitto danni strutturali seri. Per Tel Aviv, si tratta di un altro segnale della volontà americana di limitare i danni diplomatici, piuttosto che condurre un’azione risolutiva.

Conclusione

Tre siti nucleari colpiti. Nessun morto. Nessuna reazione. Nessun incidente. Tutto fa pensare che l’attacco americano sia stato più simbolico che militare, forse persino “tollerato” dall’Iran. Uno scambio di colpi utile a entrambe le leadership: rafforzare la narrazione interna, senza alterare davvero i rapporti di forza.

Un attacco annunciato, calibrato, forse concordato. E sicuramente, molto sospetto.

Share via
Copy link
Powered by Social Snap