di Luigi Cortese

A oltre trent’anni dalla strage di via d’Amelio, un nuovo inquietante capitolo si apre nelle indagini sul massacro in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme a cinque agenti della scorta. La Procura di Caltanissetta ha recentemente rilanciato le inchieste con un filone dedicato alla scomparsa dell’ormai leggendaria agenda rossa del magistrato, e il quadro che emerge è ancora una volta gravissimo: al centro, il possibile coinvolgimento di una loggia massonica segreta, attiva nella Sicilia degli anni Novanta e collegata a figure di vertice delle istituzioni giudiziarie.

Il ROS dei Carabinieri ha eseguito perquisizioni in abitazioni riconducibili all’ex procuratore Giovanni Tinebra (deceduto nel 2017), sospettato di aver avuto tra le mani la borsa di Borsellino subito dopo l’attentato. Secondo un documento interno risalente al 20 luglio 1992, sarebbe stato l’allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, a consegnargli quella borsa, contenente l’agenda rossa. Nessuna ricevuta, nessun verbale. Da quel momento, l’agenda è svanita nel nulla.

A complicare ulteriormente il quadro vi è il sospetto, ormai al vaglio degli inquirenti, che tanto Tinebra quanto La Barbera fossero membri di una loggia massonica “coperta”, sorta dopo lo scioglimento della P2 e attiva nella provincia di Enna. Un legame che, se confermato, aprirebbe scenari inquietanti sulla capacità di ambienti massonici di influenzare – e inquinare – indagini delicate.

La scomparsa dell’agenda rossa non è un dettaglio secondario. In quelle pagine Borsellino annotava informazioni riservate, riflessioni e probabilmente elementi cruciali sui rapporti tra mafia, politica e istituzioni. La sua sparizione immediatamente dopo l’attentato è da anni oggetto di sospetti e accuse. E oggi, grazie a nuove testimonianze e alla tenacia degli investigatori, la verità sembra meno lontana.

Il processo “Borsellino quater” ha già definito il depistaggio iniziale come “il più grave della storia repubblicana”. Al centro, la costruzione ad arte della falsa collaborazione del pentito Vincenzo Scarantino, spinto a confessare il falso per proteggere i veri mandanti. Tutto questo, oggi, si inserisce in un contesto più ampio, dove coperture, omissioni e affiliazioni occulte potrebbero aver agito di concerto per cancellare ogni traccia scomoda.

A questo si aggiunge un fatto visibile a chiunque abbia analizzato le immagini della strage: il carabiniere Giovanni Arcangioli che si allontana con la borsa di Borsellino ancora intatta tra le mani. Un oggetto che non è mai stato distrutto e che poteva essere analizzato anche sul piano del DNA, come ha denunciato la figlia del magistrato, Lucia Borsellino, davanti alla Commissione Antimafia.

Il nuovo corso investigativo apre dunque interrogativi profondi: chi ha preso l’agenda rossa? Chi l’ha fatta sparire? E, soprattutto, chi aveva interesse a zittire per sempre Paolo Borsellino?

La presenza di massoni ai vertici delle inchieste, le manovre di depistaggio, la mancata collaborazione istituzionale, i silenzi colpevoli: tutto lascia pensare che la strage di via d’Amelio non sia solo un atto di mafia, ma anche – e forse soprattutto – un delitto di Stato.

Le indagini sono in corso, ma il Paese attende risposte. Perché non ci può essere giustizia senza verità. E finché l’agenda rossa resterà scomparsa, sarà impossibile chiudere davvero quella ferita aperta nella storia italiana.

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