di Luigi Cortese

Ieri a Bruxelles si è tenuto un incontro tra il presidente serbo, Aleksandar Vucic, ed il premier del Kosovo, Albin Kurti, l’incontro è stato promosso dal rappresentante dell’UE per la politica Estera, Josep Borrell. La situazione nei balcani è tesa da quando nel 2008 il Kosovo dichiarò l’indipendenza dalla Serbia, situazione riconosciuta sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Europea, non da Serbia e Russia, alleata di Belgrado.

In questi anni non sono mancati frizioni tra i due governi, ma dopo 14 anni il Kosovo ha deciso che i 10mila cittadini serbi-kossovari del nord del suo territorio dovranno sostituire le targhe serbe con quelle kosovare, minacciando salatissime multe per chi non rispetterà la legge, facendo degenerare una situazione già di per se precaria.

All’inizio di novembre, i rappresentanti dei serbi del Nord del Kosovo nelle istituzioni del Paese, in palese disaccordo con questa politica, hanno rassegnato le dimissioni da tutte le cariche pubbliche. Borrell, al margine dell’incontro, ha sottolineato che né la missione di polizia, che l’Ue ha dispiegato in Kosovo, né la missione militare della Nato possono sostituire il lavoro della polizia locale nel Nord del Paese, poiché questo compito non figura nei loro mandati né hanno le capacità per farlo.

La guerra delle targhe è solo l’ultimo dei segni della convivenza difficile tra Pristina e Belgrado, con le tensioni etniche, sociali, religiose che affondano le radici nella storia. Dalla fine dell’ex Jugoslavia non sono mancate tensioni in quel settore, da quando, il 24/03/1999, la NATO decise di “liberare” i paesi balcanici con l’operazione “Allied Force”, decisione presa senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite. Oggi l’Unione Europea cerca di mediare senza alcun successo, se in queste 48 ore non si giungesse ad una soluzione ci troveremmo una guerra nel cuore dell’Europa, anche questa grazie alla NATO.

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