di Alessandro Brachino

Siamo ormai giunti alla fine di gennaio e qualche giorno fa è terminata l’ultima edizione della Supercoppa Italiana o, sarebbe meglio dire, araba.

Totalmente stravolta la formula ed i tabelloni, inserendo due semifinali e quattro squadre anziché la classica finale a partita secca tra la vincente dello scudetto e della Coppa Italia (Inter-Napoli) come poi è stato nell’ultima gara che ha visto l’Inter vincente (di nuovo). Tutto ciò va ben aldilà di una singola partita e si può spiegare con l’internazionalizzazione del nostro calcio: infatti il giocare un trofeo Italiano in un paese straniero, o addirittura extraeuropeo, non è di certo una novità di questi giorni. La prima volta fu nel 1993 a Washington, negli Stati Uniti, dove fu il mio Milan a trionfare; poi negli anni successivi Pechino, Doha, Gedda, Ryad.

La svolta apolide del nostro calcio ha avuto inizio tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, seguendo l’esempio Inglese con l’arrivo delle cosiddette Pay Tv come Sky (Sky stream) e successivamente Premium Mediaset. Un sistema che ha fatto sì che fondi e imprenditori stranieri mettessero le mani sul nostro calcio, presto adeguatosi alle volontà del mercato europeo ed oltre. Il calcio da quel momento divenne uno sport di anno in anno sempre più costoso e sempre più elitario a causa anche del costante aumento del costo dei biglietti, del merchandising, delle trasferte, delle partite. Gli stipendi dei calciatori si sono alzati sempre di più ed il calciomercato ha raggiunto cifre folli.

La conseguenza è che, ad oggi, le squadre Italiane sono gestite per la maggior parte da fondi e presidenti stranieri che poco hanno a cuore le sorti della squadra e le esigenze dei tifosi non sapendo nulla della loro storia e di quello che rappresentano per un paese e per una città; vedi il Milan di Berlusconi e l’Inter di Moratti, oggi rispettivamente americana e cinese. Questo ha portato ovviamente anche all’inclusione di  un enorme numero di calciatori stranieri e di colore nelle rose che in certi casi superano il numero di quelli Italiani, vedi Udinese o Milan, portando giovani talenti italiani delle primavere, che avrebbero potuto essere un’occasione anche per far crescere la nostra nazionale, a marcire in campionati inferiori o a perdersi tra una serie inutili di prestiti. Vediamo l’esempio recente di Patrick Cutrone.

Dunque è difficile definire il campionato Italiano tale visto che si sta assoggettando a tutte le altre leghe come quella inglese o francese, che per tradizione supportano dinamiche di questo tipo a differenza nostra. Inserire tutti questi giocatori stranieri elimina la storia e le tradizioni di uno sport, che per il significato profondamente sociale e nazionale che ha, soprattutto in Italia, non potrà mai essere solo un semplice sport. Il passaggio successivo, ultimo ma non meno importante, è stato quello di eliminare, attraverso una repressione poliziesca degna di uno stato totalitario, le tifoserie ultras poiché l’attaccamento alla squadra ed alla maglia, dunque alla tradizione, alla storia ed alla città, non vanno bene per il nuovo calcio e per il nuovo mondo senza anima né identità. Le tifoserie più radicali e patriottiche hanno subito sicuramente più repressione con una costante campagna diffamatoria sui giornali nei loro confronti (vedi Lazio, Verona, Roma, Inter, Juve).

Ricordiamo le tante parole spietate sui giornali dopo la morte di Diabolik (alias Fabrizio Piscitelli), capo ultrà Laziale, o la “criminalizzazione” di Luca Castellini, storico esponente della curva gialloblù, sempre al centro di polemiche costruite poiché Verona, in quanto roccaforte della tradizione e del calcio di una volta, è scomoda. Non a caso è la tifoseria con più diffidati in Italia. Poche realtà resistono oltre tutto e tutti, specialmente nelle serie minori e nelle città più piccole, ma con un forte senso di appartenenza e campanilismo. Verona e Firenze su tutte.

Hanno seguito infine la tessera del tifoso, la militarizzazione degli stadi, il divieto delle trasferte. Un processo lungo, costruito ad hoc per trasformare il calcio da uno sport passionale e popolare ad uno sport per sceicchi dalla barba lunga e dal portafoglio gonfio.

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